Il cittadino illustre, una commedia da Nobel
Altro che Dylan: applaudite piuttosto Daniel Mantovani. L'unico, <vero>, Nobel per la letteratura di quest'anno: nonché il protagonista del film sorpresa dell'ultima Mostra di Venezia. Uno scrittore riluttante e immaginario (ma forse nemmeno troppo) che lascia il segno ne <Il cittadino illustre>, brillante film argentino diretto a quattro mani da Gastòn Duprat e Mariano Cohn, agrodolce riflessione sul ruolo dell'artista (e della cultura) nella società.
Tra gli spettri del passato di un ennesimo coming home, la storia di un autore sudamericano che, vinto il Nobel, viene invitato a tornare nel suo paese natale, da cui manca da 40 anni: lo stesso che i personaggi dei suoi libri non hanno mai lasciato, mentre lui è scappato non appena ha potuto.
Molto divertente nella rappresentazione della provincia al cospetto dell'intellettuale di ritorno (tra selfie col sindaco, improbabili concorsi di pittura e hotel <che sembrano usciti da un film rumeno>), <Il cittadino illustre>, concessa all'artista <la missione di rendere il mondo un po' meno orrendo>, si muove tra incontri e scontri di pregnante verità, lasciando cadere in fretta le maschere dell'ipocrisia.
Ricco di dialoghi di stridente ironia e di situazioni grottesche e paradossali, il film di Duprat e Cohn - che ha regalato una meritata Coppa Volpi a Oscar Martinez, migliore attore di Venezia 73 -, è forte di un copione a orologeria che, fatto pelo e contropelo a etica, arte e politica, non fa sconti nella sua analisi dell'Argentina (arroccata sui suoi vizi e incapace di autocritica) e nel confronto, per nulla letterario, tra i rimorsi di un sè dimenticato e le altrui pretese. Ricordando a chi guarda che il passato è un Paese straniero. E <la semplicità un atto di generosità dell'autore>. Oltre che un affare dannatamente complicato.