Opera senza autore: l’autoritratto della Germania
<Se l'artista non è libero, nessuno lo sarà>.
Dopo il brutto <incidente> di <The tourist>, Florian Henckel von Donnersmarck torna a spiare dal buco della serratura della Storia le vite degli altri: la sua è un'<Opera senza autore> che affronta a viso aperto, senza distogliere lo sguardo, la <coerente follia tedesca>, tra le colpe dei padri che perseguitano anche i figli e la ricerca di una verità - insita anche nell'atto del creare – improcrastinabile, necessaria. Dalla Germania nazista del '37 agli anni del dopo Muro: tre ore che ti passano bene, con uno stile <comodo> (e patinato) che però appartiene più ai canoni del film per la tv, al piccolo che non al grande schermo. Eppure, nella vicenda umana di un giovane pittore (ispirato a Gerhard Richter) che incrocia il proprio destino con quello di un ex medico delle SS, la pellicola si scopre anche appassionata, non tanto magari nel logico sviluppo del melò quanto nella nemesi dell'arte, in quel trasformare le ferite più fonde del suo protagonista (e il trauma di una nazione) nella materia (consolatoria) dei suoi sogni, in dipinti <rubati> al passato, a una realtà da ricodificare. Gli affreschi propagandistici della Ddr, le eccentriche avanguardie dell'Ovest, la natura dell'ispirazione e il rapporto (sempre malato) col potere: il regista dimostra grande facilità narrativa, allestendo una comfort zone molto ampia per il pubblico pagante. E' generoso, anche troppo: e un po', stavolta, lo siamo anche noi.