Stanlio e Ollio, l'ultima risata
Non so, ma a me sembra che la cosa più bella di questo film accada alla fine: anzi, dopo. Appena prima dei titoli di coda, in quelle frasi in calce su schermo nero che del tutto dicono molto in poco. Che tipo vieni a sapere che Stan Laurel, battutista nato, geniale architetto della situazione comica, continuava a scrivere gag per lui e il suo partner Oliver Hardy anche 8 anni dopo la morte di quest'ultimo: pagine e pagine di scene e copioni che non avrebbero mai più potuto interpretare. Ma che Stan non avrebbe mai accettato di fare con nessun altro. C'è la malinconia di un finale di partita, gli inevitabili acciacchi e le buche del dissestato viale del tramonto, ma soprattutto l'impossibilità di essere uno quando si è sempre stati – e voluto essere – due, nella storia affettuosa della grande, tenera e a volte conflittuale amicizia di una delle coppie più divertenti della storia del cinema. Due icone assolute, veri maestri di leggerezza, colti dallo scozzese Jon S. Baird nel cono d'ombra del loro stesso (appannato) mito, per restituirne non tanto la leggenda (tuttora inattaccabile), ma l'umanità, i piccoli rancori, la fatica degli ultimi scalini.
Biopic tradizionale, fin troppo classico e ordinario (per quanto curato) nell'aspetto, ma capace di cogliere, senza accentuare i toni, disagi e piccole amarezze di due divi in cerca di un altro applauso, di un'ennesima risata, il film si concentra sull'ultima tournée teatrale in Europa di Stanlio e Ollio, ormai passati di moda e non più considerati da un grande schermo che ha già lanciato nel firmamento altre coppie comiche.
Nell'accettata crudeltà di uno spettacolo che deve continuare (<mi mancherà quando sarà finito>), il film di Baird, complici le interpretazioni mimetiche degli ottimi Steve Coogan e John C. Reilly, riscatta l'inevitabile malinconia con la forza di un umorismo che non conosce ruggine: e più di tutto è interessante il modo in cui fa entrare l'ironia e il paradosso nella vita di tutti i giorni, gli sketch, consapevoli e non (la sequenza in stazione), nella realtà. Come se la vita – come diceva Oscar Wilde – fosse troppo importante per essere presa sul serio.