Quel giorno d’estate: dopo il lutto la vita
<Cosa ti avevo detto? Mai perdere la speranza>.
C'è dentro la gioia (e il dio) delle piccole cose – un pomeriggio a ballare una canzone di Elvis, una finta gara a chi va più forte in bici, una sera a bere birra su una panchina quando vorresti che lei non andasse mai via -, un volersi bene, uno stare insieme, che è più forte di quel sentirsi sempre e comunque orfani. Perché sì, non c'è dubbio che <Quel giorno d'estate> sia un film sull'elaborazione del lutto (il proprio e quello di un Paese, di una nazione), un film di sopravvissuti, di chi cerca di arredare il vuoto e prova a dare un colore, una forma, all'assenza: ma prima – e più di tutto – quello del 44enne Mikhaël Hers è qualcosa d'altro, di diverso, dal puro e semplice dolore. E' un film sul dovere di ricominciare, sul ripartire. Sul provare a essere migliori, tra abbracci spezzati e legami ritrovati, della storia che hanno voluto scrivere per noi: e di chi ci ha preceduto, di chi, per scelta o per forza, ci ha lasciato. Che se non lo sai c'è ancora molto da giocare: e non è finita finché non è finita.
Girato con un realismo schietto anche se confortevole, mai sovraesposto (la realtà per la realtà), <Quel giorno d'estate> accorda con delicatezza il pianoforte dei sentimenti, non calca la mano, anche nell'affrontare drammi di portata incalcolabile resta volutamente <piccolo>, privato, personale: trasformandosi nel naturale e minimale contrappunto di un trauma collettivo, là dove la luce che vede uno in fondo al tunnel è la stessa a cui ambiscono tutti.
David ha 24 anni, si arrangia, pota gli alberi per il Comune, dà una mano a un B&B: il padre è morto, la madre non l'ha praticamente mai vista. La sua famiglia sono la sorella Sandrine e la nipotina Amanda. E poi c'è Léna,la ragazza della finestra di fronte. Un giorno però Sandrine non torna dal picnic: falciata come altri dalla furia dei terroristi islamici. E ad Amanda, a un tratto, non resta che David...
Molto efficace nel risolvere – in un silenzio sospeso, carico di stupore e orrore – la sequenza dell'attentato e quelle immediatamente successive, quando il tempo sembra essersi fermato in una metropoli attonita e improvvisamente deserta costretta a scoprirsi fragile, il film di Mikhaël Hers è una chiamata alla responsabilità, un invito a crescere, a costo di essere genitori senza forse averlo mai nemmeno voluto, quando non conosci le parole da usare e neanche sai dove è finito il manuale d'istruzioni. Due candidature ai Cesar, un passaggio a Orizzonti a Venezia 2018 e la vittoria al Festival di Tokyo, <Quel giorno d'estate>, complici le lacrime e i sorrisi di Vincent Lacoste (lo vedrete, altrettanto bravo, in <Chambre 212>) e della piccola Isaure Multrier, trova in famiglie apparentemente disfunzionali (madri che non si fanno vive per 20 anni, figlie cresciute senza padre, innamorati che devono dare tempo al tempo) le chiavi di una possibile ripartenza, invito a un viaggio che è ancora tutto da fare.