Protagonisti, 2019 Filiberto Molossi Protagonisti, 2019 Filiberto Molossi

D’Azeglio, l’arena accende le luci

Arriva a passo di danza, ballando sulle punte come Nureyev e se ne va scatenandosi al ritmo delle canzoni più belle di Elton John. E' un programma davvero molto interessante - il più variegato e stimolante da molte stagioni - quello che propone l'arena estiva del D'Azeglio.

Il cinema dell'Oltretorrente si prepara a un luglio sotto le stelle ricco di proposte di segno anche molto differente: non più l'abituale ripasso del cinema che è stato, ma un cartellone pieno di suggestioni d'autore - tra prime visioni e grandi classici - per tutti i palati. Un progetto preparato con attenzione, equilibrato e cadenzato, accuratamente pensato per chi resta in città e non vuole rinunciare alla magia del grande schermo. «Quest'anno - conferma l'assessore alla Cultura Michele Guerra - la rassegna estiva del D'Azeglio ha una qualità importante: all'altezza del riconoscimento nazionale che la sala ha recentemente avuto per l'impegno nelle ormai classiche rassegne di storia del cinema».

Quattro, fondamentalmente, i filoni: le novità assolute, le prime visioni che rendono la proposta più appetibile; la rassegna «Accadde domani», con cinque interessanti film italiani (due dei quali inediti); i film in lingua originale - tradizione di grande successo del D'Azeglio - che da quest'anno trova felice sbocco anche in estate; «La terra dentro», con una selezione di alcuni mitici film dei maestri del cinema dell'Emilia Romagna.

Il via stasera con «Nureyev», biopic sul leggendario ballerino, poi, tutti i sabato e domenica, spazio alle prime visioni: a luglio particolarmente interessante quella di fine mese (il 27 e 28), «Quel giorno d'estate», storia di un uomo che, dopo la morte improvvisa della sorella rimasta uccisa negli attentati in Francia dell'Isis, deve occuparsi della nipote di 7 anni. Curioso però anche «American animals» (13 e 14) che racconta l'incredibile storia vera di un gruppo di annoiati studenti-rapinatori che ruba preziosi testi in una biblioteca. Un mix di documentario e finzione che si annuncia intrigante.

Per «Accadde domani» vanno marcati soprattutto i film inediti: «Bulli e pupe» (l'8) e «Tutto liscio» (il 22): quest'ultimo, è una commedia ambientata nel mondo delle balere.

Di veri capolavori del cinema italiano si parla avvicinandosi alla rassegna dedicata ai maestri del cinema emiliano-romagnoli: Antonioni e «L'avventura» (il 4), «L'assedio» (l'11), uno dei film meno riproposti (e per questo quindi prezioso) di Bernardo Bertolucci, «La casa delle finestre che ridono» (il 18), capolavoro di un giovane Avati, «Un'estate violenta» (il 25), un grande film di Valerio Zurlini.

Infine gli «original ones» con sottotitoli in italiano, proposti il martedì e il venerdì: da non perdere venerdì 19 «La favorita», uno dei film più belli della stagione. E poi, a chiudere il mese «Rocketman»: dopo la vita immagini di Nureyev, quella, coloratissima, di sir Elton John.

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Riapre l’arena dell’Astra: arrivano 4 registi, c’e anche Bellocchio

Undici serate in giugno, più un'appendice - anzi,  un gran finale - il prossimo mese. Con l'estate torna - e sì, è una gran bella notizia - anche l'arena dell'Astra. Che apre ufficialmente sabato, ma dove da mercoledì prossimo sfilerà il (miglior) cinema italiano per «Accadde domani». Ogni sera,alle 21.30, un film diverso: proiezioni arricchite, spesso e volentieri, dall'incontro con il regista. Come nel caso della prima visione che il 19 dà il via alla rassegna: «Il corpo della sposa», opera prima che Michela Occhipinti, candidata al «Nastro d'argento come miglior regista esordiente, accompagnerà a Parma. La storia - originale e attualissima - di una ragazza della Mauritania costretta a ingrassare decine di chili prima di sposarsi per soddisfare i criteri estetici degli uomini del luogo. A scendere nell'arena per confrontarsi con il pubblico dell'Astra saranno però - in due serate consecutive, il 26 e il 27 - anche Paolo Zucca e Federico Bondi. Il primo, 47enne regista cagliaritano, ha girato con «L'uomo che comprò la Luna» una commedia brillante e surreale, diventata in breve tempo un vero e proprio caso cinematografico in Sardegna. Si racconta infatti di un agente segreto addestrato a diventare un vero sardo per scoprire chi sull'isola ha comprato la Luna...: un modo per ironizzare, in modo intelligente, su leggende e  luoghi comuni dei fieri abitanti di quella terra. Bellissima e «buonissima»: tanto che - prima del film, proposto dall'Astra in collaborazione con il circolo «Grazia Deledda» e dal ristorante Mariposa - si svolgerà una piccola degustazione di prodotti sardi. Il toscano Bondi, invece,  già regista di «Mar nero», in «Dafne» si affida a una strepitosa protagonista: Carolina Raspanti, una ragazza affetta dalla sindrome di down, che mette tutta la sua forza ed esuberanza al servizio del personaggio del titolo, una 35enne che deve affrontare la morte della madre e la conseguente depressione del padre. Ultimo incontro, da tutto esaurito, quello del 12 luglio: quando Marco Bellocchio tornerà all'Astra per parlare de «Il traditore», il film - baciato da un grandissimo successo -  che il maestro piacentino ha dedicato a Tommaso Buscetta, il più famoso pentito di Cosa nostra. Candidato a 11 Nastri d'argento, l'avvincente affresco umano di Bellocchio sorprende per intensità: raccontando la parabola di un boss che non si sente tale, Bellocchio traccia uno spaccato della recente storia italiana. Ma al di là dei quattro incontri con altrettanti registi, per tutto giugno con «Accadde domani» sarà grande cinema: si va dalla commedia agrodolce, come «Troppa grazia» (il 20) di Gianni Zanasi dove a a una geometra precaria (Alba Rohrwacher) appare la Madonna, a titoli meno visti (ma da recuperare) quali «Croce e delizia» di Godano (il 22), «Ricordi?» di Mieli (il 24) o anche «Ride» (il 28), debutto dietro la macchina da presa dell'attore Valerio  MastandreaTra i «compiti per le vacanze» c'è certamente quello da vedere - se non l'avete ancora fatto - il bellissimo documentario di Nanni Moretti, «Santiago, Italia», (il 25), ma è un film interessante anche «Euforia» di Valeria Golino (passa il 21), incentrato sul rapporto tra due fratelli. I fan di Pif poi lo troveranno (il 29), diretto da Luchetti, in «Momenti di trascurabile felicità» (dal libro di Piccolo), mentre quelli di Stefano Accorsi potranno recuperare «Il campione», storia di un giovane fenomeno del calcio irrequieto e arrogante, affidato a un «tutor». Dodici serate per conoscere meglio il cinema italiano della stagione appena passata: e magari sentirsi anche un po' orgogliosi.

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2018, Classifiche Filiberto Molossi 2018, Classifiche Filiberto Molossi

Un anno di cinema: i 10 film più belli del 2018

Ci risiamo: tempo di classifiche. A chi la palma di miglior film del 2018? Dura, durissima anche quest’anno: ecco la nostra top ten, tra scelte sofferte e altre, ovviamente, opinabilissime.

10. UN AFFARE DI FAMIGLIA

Famiglia disfunzionale, sentimenti autentici: ma la lettura è scomoda, stratificata, il racconto moralmente complesso, le sfumature sono migliaia. Un cortocircuito etico nel Giappone in crisi, tra molti segreti e altrettante ambiguità. Dalla parte di rifiutati, là dove la maschera è più vera del volti.

9. CORPO E ANIMA

Sì, vero: per metterci questo ho rinunciato a molti altri che mi sono piaciuti assai. Ma qui siamo in un territorio inesplorato, all’incontro tra due prodotti difettosi che difficilmente superano il severo controllo di qualità della vita. Un film singolare e coraggioso dove l’amore è un mistero: in cui si sogna lo stesso sogno.

8. L’ISOLA DEI CANI

Una roba così poteva farla solo lui, Wes Anderson: perdere due anni dietro a dei pupazzi, scegliere una discarica come ambientazione principale e fare di un’epica avventura canina per metà in giapponese e graficamente stupenda il suo film più politico. Perché politico è il messaggio, ma anche il modo.

7. FOXTROT

Un film inquieto e senza pace , un apologo dissonante e feroce, girato con una cifra stilistica che si segnala per coraggio e originalità; un dramma paradossale sul lutto, il caso, la fede, l'assurdità della guerra: e il senso di colpa, orco invincibile e inseparabile. Un’opera potente e spiazzante.

6. DOGMAN

Er Canaro versione Garrone: che mostra i denti dell’abisso in un gran film chiuso in gabbia, un cupo e straordinario spaccato esistenziale violentato dai rumori di fondo di una realtà che non ha (e non dà) pace. Su tutto il volto di Marcello Fonte, superbo protagonista di un film scritto sulla sua faccia.

5. VISAGES VILLAGES

Un film generoso, disinteressato, pieno di improvvisa (e a volte imprevedibile) umanità: un anti depressivo naturale. Il fotografo hipster 35enne che non toglie mai gli occhiali da sole e la regista 90enne coi capelli bicolori sono la coppia più bella dell’anno. In un doc pieno di grazia, che a vederlo ti fa star meglio.

4. MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO

Non c’è stato film nel 2018 così pieno di vita, energia contagiosa, sensualità, capacità di sedurre ed empatia come quello di Kechiche: che celebra la forza indomabile e inesauribile della giovinezza con un vibrante romanzo di formazione il cui cuore batte al ritmo di quellodi tous le garcons et les filles de mon age.

3. ROMA

La magnifica epopea intimista di Cuaròn che dice grazie alle donne della sua vita, unite dalla stessa solitudine: sua madre e la sua tata. Un film struggente, pieno di sentimento, di un'amarezza che però non sovrasta la speranza. Ispirato sin dal prologo: e con molte sequenze belle e crudeli.

2. COLD WAR

Un amore impossibile in un’epoca impossibile: in bianco e nero e 4/3, uno straordinario e commovente melodramma, girato con magnifica eleganza, grande ispirazione nella composizione dell'inquadratura, inusuale e toccante partecipazione. Il regista è una sicurezza, la Kulig una grande sorpresa.

1. TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI

Una scelta forse un po’ mainstream, ok: ma trovatelo un film scritto così bene, che sia feroce, dolorosissimo e allo stesso ironico, sarcastico. Con interpteti fantastici e un regista che fa recitare bene anche i sassi. Un dramma furente là dove rabbia genera rabbia: un apologo politicamente scorretto. Come piace a noi.


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Bertolucci, i sogni e la nostalgia dell’imperatore

Non sembrava preoccuparlo il destino del cinema, così come lo conosciamo: forse perché sapeva, in cuor suo, che qualcuno - come lui -  i film, in qualche maniera, avrebbe sempre continuato a farli. E ci sarebbe sempre stato qualcuno che - come noi - avrebbe avuto voglia di vederli. «Non ho idea di cosa ci riserva il futuro - mi disse una volta  -, forse un giorno le sale non esisteranno più: ma sono convinto che i film non moriranno. Magari li vedremo proiettati sul volto di chi amiamo». Qualcuno ieri ha scritto che Bernardo Bertolucci ci ha lasciati. Non sono d’accordo: credo piuttosto che, semplicemente, se ne sia andato. Ma ho la presunzione di credere che non ci lascerà mai. Non ci lasceranno i suoi film, le sue visioni, il suo modo, unico di impressionare la pellicola. Né ci abbandonerà  la capacità di emozionarci nel rivedere Brando morire o la Sanda e la Sandrelli ballare. L’ho capito l’altro giorno, a Torino, durante il festival del cinema: guardando «Pretenders», l'ultimo film di James Franco, divo cinephile,  uno a cui fanno la posta ragazzine che forse non hanno mai nemmeno visto un film di Bertolucci. Che però l'attore e regista hollywoodiano  nel suo film cita in continuazione, così come Godard e Truffaut: giganti di quel cinema anni '60 che del cinema stesso cambiarono la morfologia, la grammatica, la sintassi. Il ragazzino di Baccanelli cresciuto ascoltando il padre Attilio dettare al telefono, a braccio, le recensioni alla «Gazzetta» scrittura gli amici di infanzia per «rifare» i film che ha appena visto: nella Parma che, faticosamente, semina sogni là dove poco prima c'erano le macerie della guerra, la campagna assomiglia a un enorme set. Scrive poesie, riceve premi, ma sceglie presto, ancora giovanissimo, il cinema. Forse perché ha già capito che è quel posto dove se «chiedi un treno te lo portano davvero». Nello sguardo del bimbo che si nasconde per vedere il maiale morire - il suo, primo, folgorante cortometraggio - c'è già la promessa di qualcosa di grande, la scoperta, violenta di uno stupore che forse è il medesimo di quello di un altro bambino, migliaia di chilometri e molti anni più in là, davanti a cui tutti si inginocchiano nella città proibita. Prima però c'è tempo di scambiare Pasolini per un ladro: gli chiude la porta in faccia, ma lui non se la prende. «Dici che ti piace il cinema, fammi da aiuto regista». Sul set, Bertolucci arriva dalla porta principale: iil film è «Accattone». da lì in poi si fa sul serio: c'è l'esordio con «La commare secca», solo apparentemente pasoliniano ma che in realtà già si distacca dall'amico-maestro. E' con «Prima della rivoluzione», girato a Parma, però che Bernardo diventa Bertolucci. Ha solo 22 anni, è sfrontato e incosciente al limite dell'arroganza e soprattutto incompreso: i critici italiani - che non ne comprendono il già limpidissimo talento - lo stroncano, i francesi però lo esaltano. Ancora oggi resta uno dei film più belli di sempre sul tormento di essere giovani: capace di parlare ai  ragazzi di oggi con la stessa modernità con cui si rivolse a quelli di mezzo secolo fa. C'è chi lo consiglia di rimettersi seduto: lui invece insiste. E firma capolavori, personali e politici, come «Il conformista» e «Strategia del ragno». Per poi girare il film che cambia tutto, «Ultimo tango»: l'anteprima a Parma è per pochi, la saracinesca del cinema abbassata, il fumo di decine di sigarette che rendono quasi nebbiosa la fotografia di Storaro. «Ruppe tutte le regole», ricordò il maestro l'ultima volta che venne a Parma: il rogo, la condanna al carcere (con la condizionale), la privazione per 5 anni (che follia...) dei diritti civili. Più scandalosa la sentenza che non il film. Ma poco importa: il successo è globale, pazzesco. Solo in Italia lo vanno a vedere 15 milioni di persone:  per capirci «Titanic» non è arrivato a 9... E' il momento che Bertolucci può tutto: lo stesso in cui decide di girare l'epopea padana e indimenticabile di «Novecento». Lo sguardo si fa epico, la storia privata diventa quella collettiva, comune. Si capisce già allora - mentre nella piccola capitale arrivano De Niro, Depardieu e  Burt Lancaster - che  Parma non potrà essere il suo ultimo approdo. L'orizzonte si allarga, le mete sono la Cina, il deserto, l'America. Arriva l'Oscar (unico italiano a vincere quello per il miglior film), ma Bernardo continua a ballare ostinatamente da solo: il suo cinema non ha paragoni, ha padri (rinnegati e non), ma non ha figli. E' rimasto sino all'ultimo il dreamer, il sognatore, degli inizi: cinefilo borghese e ribelle più forte persino della malattia che lo aveva confinato su una sedia a rotelle. Capace di rinchiudersi in una cantina per sparare Bowie tradotto da Mogol a tutto volume. Continuava a parlare del futuro, Bertolucci, a pensare a un altro film, a una nuova avventura: era l'ultimo maestro, ma il primo nella fila degli entusiasti.  Un uomo capace di gesti e gentilezze imprevedibili: come quella volta che mi chiamò al telefono per ringraziarmi per quello che avevo scritto su sua madre, rosa bianca che aveva piegato, per sempre, il suo gambo. Diceva: «Il cinema è la nostalgia per qualcosa che non abbiamo mai vissuto». Buon viaggio, imperatore.

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Mostra del cinema: i voti ai film di Venezia

​Mentre la Mostra del cinema è ancora in corso diamo i voti ad alcuni dei film principali presentati.

​FIRST MAN   7,5

​​Chiedi la Luna: per la serie partire col piede giusto. Quello di Armstrong. Umano troppo umano, un film sulla morte proteso alla rinascita.

​​​THE FAVOURITE  8

Uno dei film migliori: Lanthimos porta il suo cinismo caustico nel ‘700 inglese. ​Dove il potere è donna e l’ambizione recita a soggetto.

​ROMA  7,5

​ Cuaron torna a casa per un personalissimo Amarcord in un bianco e nero. Un film pieno di affetto e riconoscenza. E amarezza: che non vince però la speranza.

​A STAR IS BORN 5,5

Bella la chimica tra Lady Gaga e Bradley Cooper (qui anche regista) ma il film, remake di altri mille,  è di scrittura frettolosa. Ma può incasssre bene.

NON FICTION​  ​7

Tra rivoluzione digitale e girotondi sentimentali in attesa che tutto cambi perché tutto rimanga uguale. Un raffinatissimo Assayas capace anche di ironia.

​​SUS​PIRIA  7

Un non remake esteticamente bellissimo, un film politico e seducente sul corpo e sul suo linguaggio ambientato in un cruciale ‘77. Peccato per il finale grand guignol.

 

TRAMONTO  8

Nemes gratta con le unghie la vernice della Storia: per osservare da vicino la dissoluzione di un’Europa ieri come oggi sull’orlo del precipizio. Giù il cappello.

 

PETERLOO 5,5 

Leigh non sbaglia una faccia, ed è  bravissimo nel risuscitare pittoricamente la Storia, ma avrebbe dovuto essere decisamente più audace e conciso.

 

THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS 5,5

I Coen non al loro meglio: sei raccontini western, con qualche ideuzza divertente, ma per lo più storielle in saldo.  Manca il Grinta: e la grinta.

 

  THE SISTERS BROTHERS 7

Nel vecchio West, inatteso, c’e anche Audiard: tra uomini capaci di uccidere un orso ma tentati dal dentifricio. Bella scrittura, John C. Reilly da premio.

 

 

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