Filiberto Molossi Filiberto Molossi

Le cose che verranno: chi non desidera nulla perde tutto

<Non si è felici che prima di essere felici>.

C'è l'odore delle case per anziani, la vita così come accade, senza scene madri, la filosofia (l'amore per la sapienza, per la conoscenza), che è dappertutto e, come tutto, si scontra con le prospettive di mercato: e il mondo, che, in fondo, <è sempre lo stesso: solo peggio>. E la verità, anche, quella sì, inevitabile: che esiste anche nell'arte. Ma è il tempo a stabilirla, a consegnarcela: a meno che anche lui qualche volta non si sbagli. E'un film dove convivono insieme Pascal e Woody Guthrie, Rosseau e Enzensberger, Kant e Kiarostami, Adorno e Schopenhauer, <Le cose che verranno>: colto, ma senza peccare di intellettualismo snob, più di cuore, paradossalmente, che di testa. Forse perché è la storia di una, ma potrebbe essere (o già è) quella di tutti: un viaggio in un'età che è scomoda anche da raccontare, là dove si apre, imprevista, la stagione del rimpianto e dell'amarezza. Una sorta di terra di mezzo e di nessuno dove all'improvviso si rimane soli con l'ultima persona con cui forse vorresti restare: te stesso.

Capita anche a Nathalie, brillante e soddisfatta insegnante di filosofia, che in un attimo perde tutto: marito, madre, casa editrice. E molte delle sue sicurezze. Resta giusto la gatta: a cui è allergica...

Tra ideali che si contrappongono e certezze che si sbriciolano, un bellissimo ritratto di signora nei giorni in cui tutto è <dubbio e inquietudine> e, piombati nell'oscurità, si va in cerca del <vero bene>, ignorando ciò che si è e che si deve fare. Un film che sembra lieve e passo dopo passo si fa più fondo, girato in maniera naturalissima da Mia Hansen-Love, 36enne regista amata da Assayas (che, ancora ragazzina, la volle come attrice per poi farne la compagna della vita), che tra macchina a mano e steady, accarezza con movimenti mai violenti e uno stile personale e rohmeriano che non urta mai né si sovrappone a ciò che si racconta (e che, davvero, conta) delusioni e prese di coscienza di un'<eroina> contemporanea. Bravissima nel muoversi nelle tre fasi (la ribellione anarchica e assolutista della gioventù, la crisi, a volte codarda, della mezza età, la resa, scomposta e oltraggiata, della vecchiaia), l'autrice francese, miglior regista a Berlino 2016, consegna il film a una magnifica (dov'è la novità?) Isabelle Huppert, che si imbelletta il viso col bianco tra le righe, segnando ogni ellissi con toni e sfumature differenti. Rendendo autentiche – e <nostre> - frasi che rischiano di avere una verità solo nei libri, per mettere in guardia, infine, chi non desidera più niente: e in questo modo <perde tutto ciò che possiede>.

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2017, Recensione, Festival Filiberto Molossi 2017, Recensione, Festival Filiberto Molossi

Provocatorio e spiazzante: Elle fa a pezzi il fascino indiscreto della borghesia

Il film più provocatorio, ambiguo e spiazzante dell'anno? Lo ha girato un giovanotto che a luglio ne fa 79, uno che un giorno ha avuto la geniale idea (o malaugurata, fate voi) di chiedere a Sharon Stone di accavallare le gambe e 25 anni dopo ancora gliela menano... Un olandese che si fa beffe della morale, capace come pochi di sputtanarsi per poi risorgere quando meno te l'aspetti, a dimostrare che non solo la fortuna, ma pure il talento, arride agli audaci.

Regista, carnale e violento, dalla carriera folle e vitalissima (da <Il quarto uomo> a <Robocop>, da <Atto di forza> allo scult <Showgirls>), l'immarcabile Paul Verhoeven gira con <Elle> una commedia nerissima, che dopo un inizio choc prende una strada coraggiosamente grottesca, disinnescando più di una volta la tensione con una risata liberatoria: un film cattivo e moderno con cui l'autore torna forte sulla scena che conta per fare a pezzi, con una feroce satira zeppa di sorprese, nevrosi e rivelazioni, il fascino indiscreto della borghesia.

Tratto dal romanzo di Philippe Djian <Oh...>, <Elle> mescola con grande proprietà, sguardo originale e profondo disincanto generi molto differenti (il thriller, la commedia, il dramma: la vita, insomma...) aggrappandosi dal primo all'ultimo minuto a Michèle, manager alla guida di una ditta di video giochi che viene violentata da uno sconosciuto col volto coperto da un passamontagna. Figlia di uno psicopatico condannato all'ergastolo per avere compiuto una strage molti anni prima, la donna non ha nessuna intenzione, temendo troppo clamore, di andare alla polizia. E prova a risolvere da sola il mistero, innescando con il suo stupratore un gioco sadico.

Rapporti malati, verità scomode, fantasie inconfessabili: ma anche anziane signore che vogliono sposare il proprio gigolo, pallidi commessi di fast food che fanno finta di non accorgersi che gli è nato un bimbo di colore, cene delle beffe che finiscono in tragedia. Ben lungi dal volere girare un film sulla violenza contro le donne (che si guarda bene d'altra parte dal minimizzare), Verhoeven piuttosto realizza con gran ritmo un sardonico ritratto di insieme, un film volutamente scomodo che, in bilico tra attrazione e repulsione, veste di segreta complessità un personaggio non qualunque, a cui la solita straordinaria Isabelle Huppert (candidata all'Oscar per questo ruolo) dona fascino e imprevedibilità.

Regina indiscussa (e indiscutibile) di un film senza ma, forse e però: magnifico contropiede alla banalità imperante.

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2017, Classifiche Filiberto Molossi 2017, Classifiche Filiberto Molossi

I 7 film da non perdere a Marzo

Passata la burrasca degli Oscar, la temperatura sale e si fa largo aria di primavera: ma anche questo mese ci sono diversi film che meritano di essere visti. Noi ne abbiamoscelti sette. Eccoli: perché sì, non esce solo "La Bella e la Bestia"...

 

1. ELLE

Uno dei migliori film dell'ultimo Festival di Cannes: un Verhoeven d'autore capace di spiazzare alla soglia degli 80 anni. Assalita e stuprata in casa, una donna cerca di capire chi possa essere il responsabile. Tra commedia nerissima e storia torbida di attrazione e repulsione: un magnifico (oltre che sardonico) contropiede alla banalità imperante. Huppert meravigliosa.

Esce il: 23

2. LOVING

Il diritto civile di amare: la storia vera di una coppia mista nei razzisti Usa degli anni '50, arrestata e condannata solo per essere convolata a giuste nozze. Un dramma mai ostentato ma toccante, che pesa ogni silenzio e allontana a forza di principi la retorica.

Esce il: 16

3. TONI ERDMANN

Forse la sopresa dell'anno, o, certamente il film-caso del 2017: acclamato dai critici a Cannes (dove però non ha vinto nulla) ha trionfato agli Oscar europei. Una bizzarra e inclassificabile commedia tedesca che riflette sul rapporto padre/figlia: lunghezza maxi ma momenti esilaranti.

Esce il: è già in sala in Italia

4. LA TARTARUGA ROSSA

Scampato a una tempesta e approdato su un'isola deserta, un naufrago cerca di rimettersi in mare: ma una grande tartaruga rossa glielo impedisce... Privo di dialoghi, ma ricco di immagini di immensa poesia, un piccolo capolavoro di animazione che abbraccia la natura.

Esce il: 27

5. IL DIRITTO DI CONTARE

La storia di tre donne di colore che in anni di feroce segregazione razziale e dii maschilismo imperante conquistarono il rispetto di tutti aiutando il primo americano a volare nello spazio. Un film all'antica, vecchio ma solido. Perfetto per celebrare la festa della donna.

Esce il: 9

6.  IL PADRE D'ITALIA

Il suo debutto, <Il Sud è niente>, era stata una bellissima scoperta. Ora Fabio Mollo torna alla regia con la storia di un 30enne segnato da un dolore più grande di lui la cui esistenza viene sconvolta da una ragazza al sesto mese di gravidanza. Un bel viaggio nella voglia di vivere e resistere.

Esce il: 9

7. 17 ANNI (E COME USCIRNE VIVI)

Due migliori amiche del liceo rovinano il loro rapporto quando una scopre che l'altra frequenta di nascosto suo fratello: un'opera prima vitale eintelligente promossa a pieni voti dalla critica americana. Occhio a Hailee Steinfeld, ex bimba prodigio che adesso fa sul serio.

Esce il: 30

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2016, Festival, Recensione Filiberto Molossi 2016, Festival, Recensione Filiberto Molossi

Quei segreti di famiglia più forti delle bombe

Comincia come un mistery ma è un dramma familiare, dove si agita il fantasma dell'assenza e le emozioni restano imprigionate in un tempo sospeso, come istanti infiniti impressi – per sempre - in una foto, il primo film americano del 41enne norvegese di belle speranze Joachim Trier, <Segreti di famiglia>, che, dimenticato per lungo tempo in cantina, arriva ora sullo schermo dal Festival di Cannes dell'anno scorso.

Problematica, densa, la pellicola, raccontata da diversi punti di vista, attraversa, senza nasconderne le cicatrici (visibili e non), complesse dinamiche familiari dove conflitti in atto o pronti ad esplodere definiscono anche le pieghe del desiderio, della mancanza, della rinuncia.

C'è qualche reminiscenza del migliore Egoyan (quello di un po' di anni fa) nella storia - attraversata da molteplici flashback - di un padre (Gabriel Byrne) e dei suoi figli, uno dei quali ancora non ha superato la feroce realtà della tragica morte della madre (Isabelle Huppert), fotoreporter di guerra rimasta uccisa in un incidente stradale e ora celebrata in una grande mostra: un'elaborazione del lutto, quella di Trier (<Reprise>, <Oslo, 31. August>), che lavora ai fianchi il non detto, in una contaminazione stilistica che, tra molte reticenze e falsi movimenti, continua a <scartare> dalla via maestra, confondendo la messa a fuoco dell'onnipresente (anche quando assente) protagonista, moltiplicando i punti di visti nel rifiuto di un vero e proprio (magari più rassicurante) centro.

Film intimo, pieno di vuoti, di silenzi, di ricordi a orologeria, <Segreti di famiglia> (decisamente più bello e significativo però il titolo originale, <Louder than bombs>, più forte delle bombe, identico a quello di un album degli Smiths) non si accontenta della superficie e scava (senza paura di sapere cosa potrebbe trovare) a fondo, anche se alcuni escamotage narrativi suonano un po' già visti e il ricorso alle voci off (per quanto funzionale) risulta a volte troppo insistito e programmaticamente evocativo. Ambizioso (per certi aspetti promette più di quello che mantiene), ambiguo, ma formalmente (ed emotivamente) riuscito, il dramma di Trier – nell'identificazione di una donna da (ri)scoprire - osserva lo specchio rotto dei sentimenti e dei rimorsi, ma supera l'amarezza per tendere alla riconciliazione. Non solo attesa: ma necessaria.

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