Festival, Recensione, 2019 Filiberto Molossi Festival, Recensione, 2019 Filiberto Molossi

Boy erased, la terapia della conversione

E' un film ferito e consapevole, per molti versi anche coraggioso, pure se didascalico, un po' scoperto nella sua costruzione, <Boy erased>, <gemello diverso> - per tema e intreccio - di un altro film (più incisivo) uscito questa stagione, <La diseducazione di Cameron Post>. Anche in questo caso si tratta di un giovanissimo che si scopre gay: il padre, un pastore battista, lo manda allora in un centro di riabilitazione per omosessuali a seguire la <terapia della conversione>...

Diretto dall'attore Joel Edgerton e ispirato all'omonimo libro autobiografico del giornalista Garrard Conley, <Boy erased> va alle radici dell'America bianca, bigotta, arretrata, ipocrita e perbenista dove l'omosessualità è (ancora?) una colpa davanti a Dio e agli uomini. Ed è proprio l'aspetto religioso, il rapporto con il padre predicatore, la fede <tradita>, l'aspetto più interessante di un film che racconta dramma e disagio di un ragazzo che cerca solamente se stesso. Facendo luce su un fenomeno - la famigerata (e ovviamente fallimentare...) <terapia della conversione> ha interessato 700mila minori americani - le cui proporzioni stupiscono. Peccato che una regia convenzionale e un intreccio per lo più schematico facciano da zavorra al film: che può però contare sulle notevoli interpretazioni del lanciatissimo Lucas Hedges (il ragazzino di <Manchester by the sea>) e, in due ruoli d'appoggio molto ben caratterizzati, di Russell Crowe e Nicole Kidman, i genitori del protagonista.

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La diseducazione di Cameron Post: quella gioventù insaziabile e incompresa

C'è qualcosa – anzi molto – di autentico, sincero, anche carnale, una spinta a cui non puoi opporti, un desiderio  difficile, per non dire impossibile, da reprimere, ne <La diseducazione di Cameron Post>: c'è la gioventù (le sue domande, le sue scoperte e le sue ferite...), insaziabile e incompresa, la ribellione alle aspettative degli altri, l'impossibilità di non assecondare la propria natura, il proprio vero io in questa assai riuscita opera seconda della 34enne Desiree Akhavan. Che porta sullo schermo, con taglio indie e scrittura appuntita e disinvolta, il romanzo di culto (e di formazione) di Emily M. Danforth per celebrare la riaffermazione di un'identità che  troppi vorrebbero cancellare.

La storia, datata '93, di un'adolescente (Chloë Grace Moretz, molto brava) scoperta a fare sesso con una compagna di scuola. La zia non ci pensa su due volte e  la spedisce in un centro di riabilitazione evangelico per guarire dalla sua <malattia>: l'omosessualità...

Nell'imbroglio di una fede strumentalizzata, di un'età <votata al maligno>, il film, vincitore dell'ultimo Sundance, guarda con affetto ai suoi ragazzi perduti, rifiutati da tutti - genitori compresi -, e costretti a sentirsi sempre colpevoli, diversi, dalla parte sbagliata del mondo. Che poi è il posto dove il cinema di solito trova le storie che vale la pena ancora raccontare.

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