Proxima, Eva Green mamma astronauta
È tutto proteso verso quel momento, tende sempre e solo a quel punto: la partenza. Ma sa benissimo che la parte difficile è un'altra, il ritorno: «Quando vedi che le persone stanno bene anche senza di te». È una space opera con i piedi per terra, la preparazione di un viaggio esaltante ma allo stesso tempo doloroso, «Proxima»: e, più di tutto, un film antieroico, ma concreto e fisico (come un abbraccio: o come la parete di vetro che lo impedisce), sul distacco e sulla separazione. Sì, perché quelli che mandiamo lassù, per aspera ad astra, non sono solo «uomini veri»: ma donne, madri. Costrette a imparare ad accettare di essere imperfette, umane: ma pur sempre incapaci di dimenticare che una promessa è una promessa. E' un cinema molto femminile (non a caso è la sceneggiatrice di «Mustang») quello della francese Alice Winocour, pieno di increspate sensibilità, che accoglie un punto di vista inedito in un genere (quello degli astronauti) qui declinato al realismo, a suggestioni (ed emozioni) - forse anche perché è stato girato in una vera base spaziale - non artefatte, ma naturali, «quotidiane». La storia di Sarah (Eva Green, l'ex dreamer lanciata da Bertolucci), che sin da bambina sognava lo spazio: ora ha la possibilità di partire per una missione internazionale, ma questo significherà non vedere più per diverso tempo la piccola Stella... Immerso in una luce fredda, puntellato dalle note di Sakamoto, «Proxima» fa del «partire è un po' morire» l'incontro tra il molto grande - l'immensità dello spazio profondo che attende la protagonista - e l'universalmente piccolo - l'intimissima dolcezza di una donna che lava i capelli a sua figlia nella vasca da bagno -, svuotando l'epica per mostrare piuttosto la vulnerabilità dei suoi personaggi, tra inevitabile guerra dei sessi, senso di colpa e comprensione. L'addestramento durissimo, la simulazione, la preparazione di chi deve abituarsi a vivere al contrario per andare là dove le stagioni non esistono e le lacrime non scendono più. E il sole tramonta 16 volte al giorno: e chissà se qualcuno gli racconta una storia prima di addormentarsi. Dove nemmeno il peso ha più un significato: ma gli affetti e i legami ancora sì.
I 10 film più belli del 2015
Ma vogliamo davvero provarci? Sempre difficile fare dei bilanci: però una classifica dei migliori film 2015 è d'obbligo... Ecco i nostri 10: con qualche rimpianto.
10. Il racconto dei racconti
Favole antiche per denunciare ossessioni contemporanee: un film "impossibile" è sottovalutato. Forse per questo gli vogliamo ancora bene.
9. The walk
Questo proprio non ve lo siete filati: peccato, perché ci ha insegnato come un'impresa assurda può diventare un'opera d'arte. E il 3D per una volta era degno di quel nome.
8. Timbuktu
Per quella partita a pallone senza palla: atto sublime di resistenza al terrore. Il film che spiegava l'Isis molto prima del Bataclan.
7. 45 anni
Lo spettro dell'altra abita in soffitta: chiuso in un sentimento ibernato per troppi anni. Grande film sull'ipocrisia della coppia.
6. Whiplash
Il dovere di essere i migliori la' dove l'arte è fatica, sudore, sangue. Con un cattivo ben piu' pauroso di quello di Star Wars
5. Mustang
Quando "Piccole donne" incontra "Il giardino delle vergini suicide": una delle sorprese dell'anno. Un film per capire cos'è davvero la Turchia.
4. American sniper
Il vecchio Clint ha ancora una gran mira: il suo cecchino è un personaggio enorme dei nostri tempi, nel bene e nel male.
3. Inside out
Imprescindibile. La Pixar fa sul serio ed entra dentro la nostra testa: un film adulto in cui ci si può commuovere anche per l'addio a un amico immaginario.
2. Forza maggiore
Una coppia sepolta sotto la valanga del non detto: mentre la crepa della loro quotidianità diventa voragine. Grande.
1. Birdman
Per il coraggio, l'audacia, quel recitare "live" tra palco e realtà: dove è più difficile essere (super) eroi.
Mustang: la rivolta delle piccole donne nella Turchia di Erdogan
"Ci faranno a pezzi". "Che lo facessero: almeno sarà successo qualcosa".
Questo è un film pieno di grate, e di cancelli, e di porte chiuse a chiave: di divieti, di regole, di abusi. Ma anche di fughe dalle finestre, di rifiuti, di coraggio: che se non lo sai la <rivoluzione> a volte si fa anche andando a vedere una partita di pallone. Nella Turchia delle mille e una contraddizione, Paese a metà sempre in bilico tra Oriente e Occidente, passato e futuro, rito e modernizzazione, un film disubbidiente dove <Piccole donne> incontra <Il giardino delle vergini suicide>: dando vita a un affresco sincero, spontaneo e vitalissimo sulla condizione femminile al tempo (immobile) dell'Islam, ma anche di una società patriarcale e ultra maschilista sorpassata ma non cancellata dalla Storia.
Pieno di energia sin dall'inizio (bello quel bagno nel mare, innocente e felice casus belli che scatena una inimmaginabile reazione a catena), <Mustang>, emblematica opera prima di Deniz Gamze Ergüven, che l'ha scritta di getto insieme a Alice Winocour, è un appassionato grido di libertà che si carica sulle spalle la leggerezza e l'entusiasmo dell'adolescenza come la penosa, tragica, soffocante gravità di tradizioni centenarie.
In un arcaico villaggio sul Mar Nero cinque sorelle adolescenti, rimaste orfane, vengono cresciute dalla nonna e dallo zio. Un gioco con i compagni per festeggiare la fine della scuola le mette in cattiva luce davanti alla comunità: bisogna porre rimedio. La casa si trasforma in un carcere di massima sicurezza, le passeggiate con gli amici vengono sostituite da più edificanti corsi di cucina, i jeans lasciano il posto a <vestiti color merda> senza forma. Da lì ai matrimoni combinati il passo sarà breve...
Vibrante, potente nella sua lotta (sempre sospesa tra ironia e dramma) al pregiudizio, nel ribellarsi a un sistema repressivo che distrugge la volontà individuale della donna e ne nasconde (come se la femminilità fosse un peccato originale) il corpo, il film della Ergüven, chiamata - lei che è nata a Ankara - a rappresentare la Francia nella corsa agli Oscar, inneggia non banalmente alla sorellanza e, raccontato dall'impertinente voce off della ragazzina più piccola, spezza le catene della <misoginia di Stato>, lasciando che il vento si infili nei capelli delle sue protagoniste (tutte bravissime) mentre la prima alba sul Bosforo è dolce come la carezza che ti sveglia.