Recensione, 2016 Filiberto Molossi Recensione, 2016 Filiberto Molossi

La corrispondenza: c'è posta per te, ma Tornatore sbaglia indirizzo

Fantasma d'amore: si interroga sulla persistenza di un sentimento assoluto, invincibile, ostinato, permanente, là dove si agita angosciata ma non rassegnata l'ambizione di eternare un abbraccio altrimenti perduto e l'assenza (come scrive Attilio Bertolucci) è «più acuta presenza», il nuovo film di Giuseppe Tornatore. Che sceglie ancora la via del mistery (come già in «Una pura formalità» e ne «La migliore offerta») per risolvere il mistero, l'enigma, più grande: quello dell'amore che supera ogni ostacolo, che vince (e sopravvive a) tutto, che è «per sempre». Come la luce delle stelle che continuiamo a vedere (quante volte l'abbiamo già sentita questa?) anche se si sono già spente.
Sessant'anni a maggio, il regista di «Nuovo cinema paradiso» si veste da ultrà del romanticismo alzando nuove barriere (ne «La migliore offerta» era un muro, qui la distanza) all'interno del suo discorso amoroso: ma scottato da una partenza falsa, il suo film - che racconta la relazione clandestina e indissolubile tra un professore universitario (Jeremy Irons) e una studentessa (Olga Kurylenko) - si smarrisce presto tra dialoghi talvolta pessimi, personaggi improbabili (lei, bella come una modella, si mantiene agli studi di Astrofisica facendo la stunt woman: sì va beh...) e simbolismi (il cane triste, la foglia morta che batte sul vetro) un po' posticci. Sms, e-mail, skype: tra autoanalisi e elaborazione del lutto, Tornatore guarda all'amore al tempo di WhatsApp opponendo al ricorso ossessivo della tecnologia un linguaggio volutamente letterario. Ma molto suona fasullo: e non basta vedere dentro a «La corrispondenza» la metafora di un'immagine (e di un cinema) che aspira (invano?) all'immortalità o la perfezione emozionale di un istante imperfetto per aspettare che il corriere dell'anima ci porti un altro messaggio, il prossimo pacco, l'ennesimo dono.

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2015, Recensione, Festival Filiberto Molossi 2015, Recensione, Festival Filiberto Molossi

Perfect day: finché c'è guerra (e ironia) c'è speranza

Vent'anni fa, <da qualche parte nei Balcani>, in una zona famosa per due cose, lo yogurt e il senso dell'umorismo: dove il teatro di guerra diventa teatro dell'assurdo e l'acqua costa sei dollari al secchio. Ma certe ragazze sono così belle (<Sei diversa dall'ultima volta>. <Sì, sono vestita...>) che ti fanno scordare anche le case dilaniate, le strade sterrate, le vendette sommarie. E' un film senza protocollo, figlio del paradosso, che cammina agile sul terreno minato della dissonanza, <Perfect day>, stallo reale ed emotivo di un gruppo di sradicati (<casa tua è ovunque dove ci sia bisogno d'aiuto>) in realtà in perenne movimento: a costo di tornare al punto di partenza e lanciarsi nell'ennesima missione probabilmente urgente, sicuramente umanitaria e forse inutile. O forse no.

Una pellicola matrioska, come la definisce giustamente lo spagnolo Fernando Leon de Aranoa, regista anche de <I lunedì al sole> (bello vero: recuperatelo): un dramma dentro a una commedia dentro a un film di guerra dentro un road movie. Una storia che non sfugge i generi, ma, anzi, tra schermaglie sentimentali, bambini che vogliono un pallone e un <rat pack> di angeli con la faccia sporca, li moltiplica: giocando sul contrasto continuo dell'amaro e del dolce, del serio (e a volte tragico) e del faceto.

La giornata (per nulla perfetta) di alcuni cooperanti alla fine della guerra dell'ex Jugoslavia: il disilluso che vorrebbe chiuderla qui, il <matto> che non ha nessuno che l'aspetta, la pivellina idealista, la tosta arrabbiata. Squadra imperfetta per un match senza regole: ma c'è un morto da tirare su da un pozzo. Peccato che nessuno abbia una corda...

Bel ritmo, retorica assente, ottimo cast internazionale (Benicio Del Toro, Tim Robbins, Olga Kurylenko, Mélanie Thierry, Sergi Lopez...) e soprattutto un tono da commedia, spesso scanzonata e sarcastica, calato in un contesto assolutamente drammatico. La chiave giusta che fa la fortuna di questa pellicola rock e corale, che guarda a <Mash> ed è già stata applaudita a Cannes: un film in cui la battaglia contro i mulini a vento di chi, per vocazione e per mestiere, porta aiuto agli altri non ha il passo grave dell'impegno sbattuto in faccia, ma diventa piuttosto riflessione disincantata sull'assurdità dell'odio e del rancore, là dove la prima vittima della guerra è ancora e sempre la ragione.

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