Alien: Covenant, un ripasso con poche idee
<Lo senti?>. <Che cosa?>. <Il niente>.
Sulle note di Wagner, tra i versi del più famoso dei sonetti di Shelley, l'irresistibile tentazione di essere (un) dio: alla ricerca (ancora) di una nuova frontiera, dove, nel mistero assoluto della creazione, la macchina è più uomo dell'uomo. Promette molto ma mantiene poco, più interessato a riproporre vecchi (e fortunati) schemi che non a cercare nuove (magari rischiose) piste e idee, l'ultimo <Alien>, ennesimo capitolo di una saga che i suoi 38 anni li porta con baldanza ma senza riuscire, d'altra parte, a nascondere i primi acciacchi. Meno filosofico di <Prometheus> (le grandi domande dell'esistenza qui appaiono solo annacquate), di cui è il sequel, il film di Ridley Scott (80 anni a novembre), nella ripetizione di un copione collaudato (un gruppo di coloni spaziali, un pianeta sconosciuto, l'inevitabile scontro con la <creatura>), solletica la nostra immaginazione, ma tra le molteplici possibilità che gli si aprono davanti si imbatte nel scivolosissimo (e assai sfruttato) tema del doppio, non particolarmente necessario e risolto inoltre (considerate le ambizioni di fondo) in maniera piuttosto semplicistica.
L'astronave Covenant è diretta su un lontano pianeta, ma qualcosa va storto: l'equipaggio si sveglia prima del previsto dal sonno criogenico per affrontare un'emergenza. E' solo l'inizio di un terribile incubo: che porterà i <pionieri> a doversi difendere dalla minaccia aliena.
Sin troppo esplicito, quando non telefonato (come nel finale a <sorpresa>: e le virgolette non sono messe a caso...), <Alien: Covenant>, ansiogeno solo a tratti, ripassa molto e inventa poco, rivelando in maniera scoperta le proprie intenzioni quando invece avrebbe fatto meglio a confonderle, a mascherarle. E se tute, zaini, giubbotti, astronavi che spiegano le vele, caschi (quelli made in Parma dalla Northwall di Gianluca Martini...) e armi hanno un fascino perché sembrano appartenere a un'archeologia spaziale, le scene d'azione, dapprima cinetiche ed efficaci, si fanno via via molto già viste (come dinamica e situazione), lasciando lo spettatore in cerca di qualcosa di più e di meglio di un confronto allo specchio (quello tra gli automi David e Walter, entrambi interpretati da Michael Fassbender) che a volte sembra uscito da un brutto <Star Trek>. Peccato, perché la potenzialità della saga sembra intatta, anche se forse necessita di uno sguardo diverso, più iconoclasta. A costo di uccidere, insieme agli alieni, anche il mito.