Miss Marx, un ritratto punk tra ragione e sentimento
Era una donna forte, emancipata, moderna, la figlia prediletta di un uomo, Karl Marx, che cambiò il mondo. Ma sopportò accanto a sè un uomo senza qualità, perdonandogli troppo e non riuscendo mai veramente a voltargli le spalle. Paragonata - non senza riferimenti indiretti ma chiari all’attualità (inevitabile scorgere nelle lotte di ieri il richiamo alle ingiustizie di oggi) - la condizione femminile a quella della classe operaia (destino comune quello di donne e lavoratori, entrambi oppressi), Susanna Nicchiarelli con «Miss Marx» (in concorso all'ultima Mostra di Venezia) rievoca la figura di un’attrice non protagonista della Storia, impegnata in prima linea nella battaglia per una società migliore ma tormentata dall’amore per un uomo di scarso talento che ne dissipò il patrimonio. Molto efficace nell’anacronistico contrappunto punk (con la musica «ribelle» sparata a tutto volume tra arredi e costumi fine ‘800), al film, colto e un po’ compassato, manca in realtà un po’ di elettricità, quella scossa che ne poteva determinare un destino differente, un esito più compiuto. Ma in questa storia senza tempo, «sul conflitto tra ragione e sentimento - come spiega l’autrice -, su quanto la forza delle nostre idee e convinzioni si possano sbriciolare davanti alla sfera emotiva», la Nicchiarelli trova, oltre a un bel finale, inquadrature di forte impatto (la sequenza dei capelli - che avrebbe forse dovuto aprire il film -, il ballo scatenato) con il limite di non riuscire sempre a dare loro il giusto ordine per fornire alla vicenda maggiore spinta e tensione emotiva così da legarci, per due ore o per sempre, a una donna vittima della sua stessa sensibilità.
Chiedi chi era Nico: rabbia e ferite della sacerdotessa delle tenebre
<Sono stata in cima e poi ho toccato il fondo: ed entrambi i posti erano vuoti>.
Chiedi chi era Nico: chiedi di una bimba tedesca col padre morto in manicomio, chiedi dell'icona dei Velvet Underground, della musa di Andy Warhol. Ma anche della modella dalla voce profonda, dell'attrice che Fellini volle ne <La dolce vita>, della madre del figlio che Alain Delon non ha mai riconosciuto. Chiedi della ragazza più bella del mondo: poi donna matura, sfatta, tossica, dolente. Eppure grande, comunque.
Non so se ce lo meritiamo un film bello come quello di Susanna Nicchiarelli, che sradica le regole del biopic tradizionale per affrontare con un coraggio inusuale per il nostro cinema il mito umanissimo e intransigente della <sacerdotessa delle tenebre>, Christa Päffgen in arte Nico, cogliendone l'ebbro mistero nei titoli di coda di un'esistenza tumultuosa (tra concerti interrotti dalla polizia e confessioni notturne davanti a un limoncello), trasformando la leggenda in verità, con un procedimento inverso e contrario di chi stende il tappeto rosso dell'omaggio.
Girato in inglese, con cast e (soprattutto) vocazione internazionale, <Nico, 1988> - vincitore nella sezione Orizzonti all'ultima Mostra di Venezia - si aggira come uno spettro nell'Europa di 30 anni fa accarezzando con ruvida sensibilità ferite e cicatrici di un'artista colossale di cui la regista romana canta i tormenti che lastricarono una storia perennemente sbagliata, stonata. Un film emotivo, coerente, anti nostalgico che ha il corpo e la voce (canta lei tutte le canzoni) di un'enorme, straordinaria, Trine Dyrholm, 45enne attrice danese che esibisce senza paura, come davanti a uno specchio incapace di mentire, segni e lividi di una sconfitta che non diventa mai resa.