Maria, regina di Scozia: un trono per due
Due donne: abbandonate al proprio destino, usurpate dei loro sentimenti, ribelli al cielo nella terra degli uomini. Eppure forti, fiere, orgogliose. Eterne. Come solo le regine sanno essere. Una sola protagonista – così come suggerisce il titolo – ma pur sempre due, due donne. Vicine eppure distanti, indissolubilmente legate ma estranee: e proprio lì, nel confronto a distanza tra Maria Stuarda ed Elisabetta I (con Saoirse Ronan che per intensità supera la quasi irriconoscibile Margot Robbie, che sarà Sharon Tate nel prossimo Tarantino), nel seguire alternativamente la furia e i tormenti dell'una e dell'altra, c'è la ragione d'essere di questo melodramma storico (e protofemminista) con toni da tragedia shakespeariana, in quella sorellanza mancata, in quel cercarsi invano, in quel caricare di attesa un incontro che avviene solo nel sottofinale, dove tra veli in cui smarrirsi insieme alle proprie speranze le persone diventano ombre e le parole sussurri. Molto classico, magari anche prevedibile nei suoi grandi totali maestosi, ma ricco nell'ambientazione, nella potenza dei gesti, nel protocollo degli sguardi di chi ordina e di chi serve, l'opera prima della regista teatrale Josie Rourke rilegge la (anche cinematograficamente) famosa rivalità tra la regina di Scozia e quella d'Inghilterra (di cui la prima, nel sedicesimo secolo, reclamò il trono) non tanto come un'<Eva contro Eva> ante litteram, ma anzi accentuando le assonanze piuttosto che evidenziando le differenze: donne che si specchiano l'una nell'altra, investite dal peso insopportabile di un potere che sono costrette a difendere dai complotti, dalle manipolazioni e dagli intrighi di una società esclusivamente maschilista. Perché da qualunque orizzonte la si guardi, su Londra e su Edimburgo regna solo una sovrana: la solitudine.
L'insulto: nessuno ha l'esclusiva della sofferenza
Chissà che in questi giorni, un po' folli e un po' amari, da Gerusalemme <liberata> (o comunque capitale), con l'inquilino della Casa Bianca che riaccende la miccia della polveriera Medio Oriente, non possa farsi largo questo film pieno di cicatrici e di insoluti, di torti e di ragioni, che invece ha una voglia inconfessabile di pace e cerca, sepolta chissà dove, la dignità e il (buon) senso della comprensione.
Apologo didascalico ma comunque efficace, <L'insulto>, emblematico film politico di Ziad Doueiri, usa il dramma giudiziario per fotografare il doloroso presente del Libano, Paese ferito - divorato dall'odio e accecato dall'ideologia e dall'orgoglio - che non riesce a voltare pagina. Una banale lite per una grondaia tra il meccanico Toni, di fede cristiana, e il capomastro palestinese Yasser (Kamel El Basha, migliore attore all'ultima Mostra del cinema di Venezia) si trasforma in un caso nazionale, con enormi ripercussioni per l'intera Beirut. Era solo una stupida grondaia: ma diventa una guerra.
Con piglio realistico (l'idea nasce da una vera lite tra il regista e un idraulico), Doueiri, a lungo operatore di macchina per Tarantino, va dal particolare all'universale per offrire lo spaccato di una nazione incapace di liberarsi dai fantasmi del passato, dove nessuno riesce a chiedere scusa e tutti, oltre ai loro motivi, hanno le proprie colpe. L'unico processo che si dovrebbe celebrare - non in aula ma nelle strade - è quello di riconciliazione nazionale. E' una strada lunga e dissestata, piena di trappole e speculazioni: ma Doueiri sa che <nessuno ha l'esclusiva della sofferenza>.
Caino e Abele nelle Ardenne: un debutto sporco e disperato
E' verde marcio, ma di quello che tende al nero, al buio, anche esistenziale: di quel colore acido eppure spento caro anche al cinema di Zvyagintsev e del primo Audiard. Ed è ruvido, senza sole, struccato non solo nella fotografia o nell'ambientazione. Pieno di cicatrici e ciminiere, birre in lattina e tavole calde, pioggia e sigarette, tute (da lavoro, ma anche quella del Milan...) e palazzoni. Là dove ti scopri a desiderare una vita noiosa, ben sapendo che la più banale normalità è un lusso che nessuno sembra possa permettersi. Non qui nella grigia Anversa, non nelle Ardenne. Territorio di caccia del debutto scavato e livido del belga Robin Pront, 31enne autore di un noir disperato e sporco, martellato dalla techno nel suo biblico infangarsi.
Un film duro, segnato, prevalentemente notturno, che racconta il ritorno a casa di Kenny, dopo 4 anni di galera dove ha tenuto la bocca chiusa: senza tradire la sua donna né il fratello Dave, suoi complici in una rapina costata cara solo a lui. Ma il tempo passa e la gente cambia: il fratellino ha rinunciato alla bottiglia, la fidanzata ha chiuso con la droga. Quello che Kenny non sa, però, è che i due, in sua assenza, si sono anche messi insieme...
La dinamica, evidentemente, è stranota e prende il via da un intreccio (due fratelli innamorati della stessa donna) non certo inedito: ma Pront, facilitato anche dal contesto proletario, privo di facili orizzonti, dimostra mano ferma e discreto stomaco nell'affrontare con i suoi Caino e Abele il viaggio fino al termine della notte. Coen e Tarantino (citati da più parti) sembrano onestamente tirati in ballo a sproposito: ma il giovane regista, che sule spalle si carica un bagaglio di illusioni assai leggero, ha un suo gusto del paradossale. Che riscatta, almeno parzialmente, le tappe obbligate di un cupo dramma morale – tratto da una piece teatrale di Jeroen Perceval (che interpreta Dave) - diviso in due movimenti: una prima parte, tesa, arrabbiata, che sembra pericolosamente seduta su una polveriera e una seconda deflagrante, violenta, non priva di sorprese. Scelto dal Belgio per rappresentarlo nella corsa all'Oscar per il miglior film straniero (ma non è riuscito a entrare nella cinquina), <Le Ardenne> è in definitiva l'esordio tosto e ben recitato (lei, Veerle Baetens è la stessa di <Alabama Monroe>) di un autore che non ha paura di sporcarsi le mani.
The hateful eight, quel mucchio selvaggio di bastardi senza gloria
Lo poteva fare solo lui in piena era digitale un film in 70 millimetri (che è il formato maxi di «Ben Hur» e di un cinema che non c'è più), resuscitando una tecnica che non si usa da 50 anni per poi (ennesima provocazione di un ragazzaccio mai davvero cresciuto) chiudere il mito della frontiera in una stanza, girando un western da camera (antitetico a «Revenant»: dove là tutto è spazio aperto e potere dell'immagine, qui è la parola, stretta tra le quattro mura di una merceria o negli spazi angusti di una diligenza, a essere soverchiante) aneddotico e teatrale, divertente e spietato, abbastanza almeno da convincere uno come Ennio Morricone (che a 87 anni potrebbe, alla sesta nomination, centrare un Oscar che gli è stato conferito solo alla carriera) a tornare a comporre musica, dopo 40 anni, per il genere che lo ha reso leggenda.
Lo poteva fare solo Tarantino, nel bene e nel male, l'attesissimo «The hateful height», in cui l'ex commesso del negozio di videocassette continua a manipolare la nostalgia, riproponendo il suo cinema tutto rabone e colpi di tacco (anche quando, a volte, sarebbe meglio tirare dritto in porta...), giocando col fuoco senza paura di scottarsi. Un western atipico, contaminato col giallo, concepito sin dalla genesi come un evento, in cui il regista di «Pulp fiction» invita al ballo un mucchio selvaggio di bastardi senza gloria e senza dio: dal violento cacciatore di taglie all'ex maggiore nordista, dal boia forbito alla prigioniera attesa dalla forca. In otto, bloccati da una tempesta di neve: ma chi tra loro non è chi dice di essere?
Diviso il film in capitoli, sempre bravissimo nel caricare la molla della tensione, nell'esasperare le sequenze fino all'inevitabile detonazione, Tarantino lavora molto bene (caratterizzandoli con talento) sui suoi odiosi personaggi-archetipo, spaccando «The hateful eight» in due, costruendo una prima parte sin troppo lenta, propedeutica però alla seconda, furibonda e splatter. Un po' «Django» e un po' «Le iene» (e un po', perché no, «Nodo alla gola»), la pellicola rispetto ai capolavori dello scatenato regista italo-americano (mi ostino a pensare che le cose migliori le abbia girate negli anni '90) è però meno pirotecnica e appassionante: la maniera a tratti prevale sul genio e i presunti riferimenti socio-politici all'attualità restano (tranne che per l'autore e per le masse adoranti dei suoi fan più fedeli) tali. Poi certo: il talento è cristallino (basterebbe l'apertura, con quel Cristo sepolto nella neve) e l'alchimia degli interpreti (tra tanti attori feticcio, brilla soprattutto l'unica donna, Jennifer Jason Leigh) funziona a meraviglia. Ma la bufera resta spesso fuori dalla porta.
Il cinema che verrà: diamo i voti ai listini
Chiusa una stagione, il cinema si prepara al rilancio: e così, a Riccione, tra un bagno e piadina, le case di distribuzione hanno svelato i loro listini. E' l'anno di Star Wars, ma anche di Tarantino, Spielberg, Scorsese, 007... Cioè, insomma: mica pizza e fichi. Diamo un'occhiata insieme a queste promesse di grande cinema: pronti a votare i line up di case grandi e piccole, indicando il film da non perdere e quello da evitare. Con una speranza: di sbagliare, qualche volta. Perché al cinema niente è più bello di quello che ti sorprende.
01
La corazzata Rai non si risparmia per il 2015-2016: il nuovo di Tarantino, l'ultimo di Scorsese, La pazza gioia di Virzì, il Sangue del mio sangue di Bellocchio, quasi certo di essere a Venezia. ma anche il pugilistico Southpaw, che non promette male, il gangster movie Legend, il buon Sicario visto a Cannes, Bradle0y Cooper cuoco post rehab in Adam Jones. E poi, italiani da esportazione come Tornatore (con Jeremy Irons) e Muccino (Gabriele), Ozpetek che rilegge il suo romanzo, Smetto quando voglio 2, la scommessa Suburra di Sollima, quello del Gomorra televisivo, il secondo film di Pif. Insomma, tanta roba.
Voto: 8
Da non perdere: Silence di Martin Scorsese
Da evitare: Il professor Cenerentolo di Leonardo Pieraccioni
20TH CENTURY FOX
Listino potente, specie tra fine novembre e fine gennaio, quando usciranno The martian di Ridley Scott con Matt Damon astronauta, l'atteso Il ponte delle spie di Spielberg sulla guerra fredda, il nuovo di O.Russell con la sua coppia prediletta Cooper-Lawrence e l'ultimo di mr. Oscar Inarritu con niente di meno che DiCaprio. Ma anche prima non scherzeranno: di Via dalla pazza folla infatti si dice già bene e il reebot dei Fantastici 4 sulla carta sembra possa spaccare. Scommessa totale il film sui Peanuts (esce il 5 novembre), i presonaggi nati dalla matita del geniale Schulz.
Voto: 7,5
Da non perdere: The revenant di Alejandro Gonzalez Inarritu
Da evitare: Sotto il cielo delle hawaii di Cameron Crowe
ADLER
Profilo basso, pure troppo: hanno il mito Malick, ma sembrano consapevoli che non farà una lira, poi puntano sulla commedia, con Il fidanzato di mia sorella (col triangolo Brosnan, Hayek, Alba) e l'ultimo di Hugh Grant. Solace, con la coppia Farrell-Hopkins, potrebbe dare qualche esito positivo. Ma le fiches sul tavolo sono poche e le carte in mano buone al massimo per un bluff.
Voto: 5
Da non perdere: Knight of cups di Terrence Malick
Da evitare: Celebrity movie di Emilio Ferrari
ACADEMY TWO
Serietà e rigore: si punta sulla qualità, magari di nicchia, ma senza sbandamenti. Cercando di fare il colpo. E' sicuramente buono e non privo di attrattiva anche per un pubblico più vasto La loi du marche che è valsa la Palma d'oro a Vincent Lindon, miglior attore di Cannes 2015. Il resto è da scoprire: con nomi sicuri come Sokurov e Le Guay e altri da segnarsi sul taccuino come l'iraniana Ida Panahandeh. E occhio anche al western danese The salvation.
Voto: 7
Da non perdere: La loi du marche di Stephane Brizè
Da evitare: Nessuno
BIM
Da Cannes hanno pescato bene, prendendo la Palma d'oro Dheepan, Rams, il vincitore del Certain, e l'ultimo, delicato, Kore-eda. ma hanno anche altri titoli interessanti: a partire da Life, sull'amicizia tra James Dean e il fotografo Dennis Stock (Pattinson), uno strano western con Michael Fassbender, Ruffalo e Keaton nel film sullo scandalo dei preti pedofili di Boston. E poi una gran mano da o la va o la spacca con il Snowden di Oliver Stone. Più rischioso invece Egoyan, che ultimamente si è un po' perso.
Voto: 7+
Da non perdere: Snowden di Oliver Stone
Da evitare: Remember di Atom Egoyan
DISNEY
Pochi titoli in uscita, ma potenzialmente tutti blockbuster. Ne basterebbe uno solo per oscurare gli altri: Star Wars: Episodio VII, il film più atteso dell'anno. E' stato sufficiente guardare il trailer con Harrison Ford che dice "finalmente a casa" e a casa ci siamo sentiti tutti. Da qui al 16 dicembre se ne riparlerà ancora moltissimo. Ma intanto si parte con l'ultimo eroe Marvel, Ant Man, che non sembra male e si piazzano due cartoon. Uno, Il viaggio di Arlo, segue la dinomania, l'altro invece è il bellissimo (anche se più per grandi che per piccini) Inside out, ultimo capolavoro targato Pixar.
Voto: 7,5
Da non perdere: Star Wars: Episodio VII
Da evitare: nessuno
DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE
Strana accozzaglia di titoli di qualche anno fa, b-movie italo-americani, debutti a baso costo. Il più noto è la Wilde Salomè di Al Pacino con Jessica Chastain, ma parliamo di un film del 2011. Wax aveva aperto il Festival di Lecce, il resto faticherà e non poco a uscire nelle sale.
Voto: 4,5
Da non perdere: Wilde Salomè
Da evitare: Wrath of the crows
EAGLE
Un po' come un bazar, tipo bancarella del mercatino: il problema è trovare l'occasione giusta. Sono partiti bene con Giovani si diventa , forse un po' sprecato per l'estate, ma il remake di Point break spaventa un po'. Il nuovo tarsem, in compenso, è stroncatissimo... E nemmeno de il luogo delle ombre si parla benissimo. Qualche chance ha il demenziale L'A.S.S.O. nella manica e molto viene riposto in Rock the Kasbah che porta Bill Murray in viaggio per Kabul...
Voto: 5,5
Da non perdere: Rock the Kasbah di Barry Levinson
Da evitare: Self/Less di Tarsem Singh
GOOD FILMS
La scorsa stagione hanno piazzato il film più bello dell'anno (Mommy) e anche nel 2015-2016 hanno voglia di fare sul serio: calando come al solito i loro assi sul tavolo della qualità. Dalla Kidman e Julia Roberts insieme (col protagonista di 12 anni schiavo) nel remake de Il segreto dei suoi occhi a Demolition, nuovo lavoro atteso assai del regista di Dallas buyers club. E poi The circle da Eggers con Emma Watson e Larrain che rilegge tre anni del mitico poeta Neruda. da cannes poi hanno pescato il bizzarro e interessante The lobster, mentre la chicca potrebbe essere Non essere cattivo, film testamento di Caligari, regista cult.
Voto: 7+
Da non perdere: Demolition di Jean Marc Vallée
Da evitare: Black and white stripes di Marco e Mauro la Villa
I WONDER PICTURES
Un catalogo doc per una casa che non fa solo doc...umentari. The brand new testament, commedia esilarante dove Dio vive a Bruxelles, ad esempio, a Cannes è stato un piccolo caso (e Jaco Van Dormael è un grandissmo sin dai tempi di Toto le héros), ma pure Partisan promette bene e il bulgaro The lesson dice la sua. Tra i documentari, grande attesa per quelli su Steve McQueem, Vidal vs Buckley e John Belushi e gli anni folli del NationalLampoon: il titolo? Se non vieni a vedere questo film ti ammazziamo il cane.
Voto: 6,5
Da non perdere: The brand new testament di Jaco Van Dormael
Da evitare: nessuno
(continua...)