Barry Seal, il gringo che fece decollare il sogno americano
Brindava con Escobar, stringeva la mano a Noriega e riforniva i Contras del Nicaragua di armi (e riviste per soli adulti): ma era un ospite gradito e considerato alla Casa Bianca. Forse perché lavorava anche per la Cia e la Dea. E per Oliver North, quello dell'Irangate. O forse perché, più semplicemente, era <il gringo che non sbaglia un colpo>. Storia vera, avventurosa e rocambolesca, del pilota che fece decollare il sogno americano: e con quello anche il suo conto in banca....
Gran bel tipo questo Barry Seal, triplogiochista a elica nell'epoca in cui i telefoni erano ancora quelli a gettone, protagonista del film, sveglio e insolente, che porta il suo nome: e rispedisce tra le nuvole il top gun Tom Cruise, eterno ragazzino (dimostra, minimo, 20 anni di meno) a cui l'altitudine (dicci che anti-age usi...) cancella persino le rughe.
Virato anni '70, con quella pasta e filigrana che fa un po' effetto super 8, e una fotografia pre alta definizione, <Barry Seal>, attraversa in maniera piuttosto scanzonata l'era Reagan (<uno che è riuscito ad arrivare da un film con una scimmia alla presidenza>), spalancando armadi zeppi di scheletri nel seguire la vicenda criminale (e american made) di un formidabile (e annoiato) ex pilota della Twa ingaggiato prima dai servizi per spiare i focolai di ribelli comunisti nel centro e sud America, poi trafficante di droga per il cartello di Medellin ma allo stesso tempo al soldo dell'agenzia federale che voleva stanare Escobar e soci... Un uomo dalle mille attività insomma, nessuna delle quali legale: ma che alla fine aveva tanto di quel denaro che per nasconderlo non gli bastò l'intero giardino di casa.
Raccontato in prima persona (come fosse un video-testamento), <Barry Seal-Una storia americana> è il ritratto in controluce, caustico e vintage, di un simpatico e avido (anti)eroe che mise le ali alla propria ambizione per attraversare, a bassa quota (dove è possibile scorgere anche la polvere sotto i tappeti), le ombre di un Paese. Macchina a mano e zoom alla bisogna, Doug Liman (il regista di <The Bourne identity>, che ha già diretto Cruise nell'ottimo <Edge of tomorrow>) ci mette del suo, rifiuta il pilota automatico, dà un senso all'inquadratura: ma se l'atmosfera fine seventies-inizio Ottanta (per quanto ormai abusata) è accattivante, al film non avrebbe fatto male un po' più di drammaturgia. Il finale bello secco però impedisce l'atterraggio morbido: non c'è paracadute, ed è un gran bene.