Anselm, l'arte e l'artificio
L’arte e l’artificio: negli sconfinati atelier che diventano set, teatri di posa, l’immagine moltiplica se stessa. Cerca e si fonde continuamente in un altro punto di vista, come una matrioska di idee dove il video dialoga e si mescola con la fotografia, la ricostruzione con la testimonianza, l’elaborazione con il reperto “storico”. Forse perché anche il cinema altro non è che un caos delimitato, recintato nei quattro angoli di uno schermo: contenuto e “costretto” a fatica, abbastanza per diventare, agli occhi nostri, agli occhi di tutti, dipinto, opera, soluzione.
Nato come lui nella Germania anno zero, quella, devastata, del ‘45, la generazione post inferno che, cercando un altrove, si caricò sulle spalle lo stigma di colpe altrui e il tormento di fantasmi comuni, Wim Wenders coglie l’essenza, sconfinata e spregiudicata, del coetaneo Anselm Kiefer, gigante dell’arte contemporanea che ammira e in cui si riconosce (anche in questo caso, immagine dentro l’immagine...) da sempre. Un’affinità elettiva che il regista tedesco restituisce nella profondità di un (ri)tratto non didascalico e nemmeno agiografico, istantanea di un uomo che, conservata dentro di sé la meraviglia del bambino che è stato, è in perenne e costante cammino, non in fuga eppure per sempre “bandito”.
L’arte, la mitologia, la riflessione sulla memoria e sulla Storia: attraverso tre età, in un non banale processo di identificazione (Kiefer bambino è interpretato dal nipote del regista, Kiefer giovane dal figlio dell’artista, mentre il Kiefer di oggi è naturalmente se stesso), Wenders, tornato in auge anche nel cinema di fiction grazie al grande e recente successo di «Perfect days», gira un documentario affascinante che, nel corso del tempo, ricostruisce, come un’enorme installazione, il talento multiforme di un artista coraggioso e provocatore (la serie di foto col saluto nazista per protestare contro l’oblio...), accusato ingiustamente in passato di essere un reazionario e invece capace di concepire una libreria dove conservare la “pelle” del mondo.
L’autore raffinato di doc come «Pina» e «Il sale della terra» (con Salgado) in «Anselm» (anche in versione 3 D) mette mano alle foto d’epoca, ripropone interviste in vecchi televisori, usa la materia, la manipola e ne fa altro: così, l’interpretazione dell’epica artistica di un visionario diventa arte a sua volta. Là dove l’essere è parte fondamentale del nulla. E - come Kiefer insegna - viceversa.