I 7 film da non perdere a dicembre
Vi conceranno per le feste: facendovi un favore. Niente cinepanettoni quest’anno: ma diversi buoni film. Ecco i sette da non perdere questo mese.
1. PINOCCHIO
Non si può che partire da qui: dal film di cui tutti hanno paura, forse anche chi l’ha prodotto. Sulla carta è senza avversari, ma c’è pur sempre la maledizione di un personaggio che spesso al cinema fa flop. Ma se lo sguardo immaginifico di Garrone incontra le parole di Collodi e la follia di Benigni (stavolta Geppetto) può davvero accadere qualcosa di straordinario.
Esce il: 19
2. RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME
Sguardi rubati e domande sospese: e un amore che vive solo nel ricordo. E in un dipinto. Nel ‘700 la passione proibita tra una pittrice e la sua modella. Più che la condizione femminile qui conta la verità dell’immagine: quella che insegue la protagonista. E quella che cerca la regista (che il 14 sarà a Parma).
Esce il: 19
3. STAR WARS-L’ASCESA DI SKYWALKER
Non fosse altro perché è il capitolo “finale”: e la chiamata alle armi è per tutti, nessuno escluso. La saga che era iniziata quando eravamo bambini si chiude 42 anni dopo chiedendo alla nostra maturità e ai nostri capelli grigi di crederci ancora una volta.
Esce il: 19
4. IL PARADISO PROBABILMENTE
Tutto il mondo è paese: con le sue assurdità, i suoi paradossi, i suoi limiti. Novello Jacques Tati con molto anche di Buster Keaton, Elia Suleiman esporta il suo stupore e smarrimento in giro qui e là dall’oceano. In un disagio che olttre a essere comico è sempre anche “politico”.
Esce il: 5
5. LA DEA FORTUNA
Una terrazza dove si fa festa e si balla sotto la pioggia, gli amici, Mina che canta, Accorsi, Serra, l’amore, la vita che torna: potrebbe esserci tutto il meglio dela poetica di Ozpetek in questo film in cui il regista turco sembra tornare, dopo prove opache, alla sua comfort zone. Con uno sguardo di fiducia, anche nel dolore.
Esce il: 19
6. DIO E’ DONNA E SI CHIAMA PETRUNYA
Scandalo in Macedonia: alla cerimonia religiosa una donna si lancia nel fiume e afferra per prima la croce. Un onore che spetta solo agli uomini… Al di là del #metoo e lontano dalle questioni di genere, un film che, in unità di tempo e di spazio, riflette con ironia sulla condizione femminile e sulla consapevolezza di sè.
Esce il: 12
7. CENA CON DELITTO
Un omaggio ai classici di Agatha Christie con Daniel Craig che smette lo smoking da 007 e indossa l’outfit del detective. Uno scrittore di gialli viene trovato morto: tutti i suoi familiari hanno un movente per farlo fuori. Ma chi è stato veramente? Una scatenata messa in scena corale dove niente è come sembra.
Un giorno di pioggia a New York: se Woody crede ancora all'happy end
<La vita reale è per chi non sa fare di meglio>.
La poteva girare solo lui – e chi altri? -, uno che ama il cinema e i vecchi film, e crede ancora, fosse anche disperatamente come un qualsiasi di noi, nell'happy end, una commedia così: senza ombrello e senza cravatta, sofisticata eppure fresca (merito anche degli interpreti: giovani, carini, scelti molto bene), romantica e sincera. Una favola con momenti di squillante verità (la confessione della madre del protagonista è un climax inatteso e moralmente importante, sottolineato anche stilisticamente dall'inesorabile avvicinarsi della macchina da presa), l'ultima, boicottatissima e ostracizzata, prova di Woody Allen che, travolto e messo al bando negli Usa (dove il film non è ancora uscito) dal ciclone #MeToo, cerca consensi nella più tollerante Europa, scoprendo una vena felice nel suo essere non banalmente uguale a se stesso, nel dovere di ribellarsi a una monotona e pretestuosa adeguatezza, nel riconoscersi in chi ancora non ha scelto chi essere, in attesa che la bella moretta arrivi puntuale all'appuntamento che non gli abbiamo mai dato.
C'è molto, moltissimo, dell'Allen pensiero in <Un giorno di pioggia a New York>: una coppia che va in crisi, il metacinema, il sottofondo jazz, la critica agli intellettuali, l'ebraismo, la vacuità della celebrità, le (auto)citazioni (come un Empire che si vorrebbe in bianco e nero...), il gusto per la battuta colta, la Grande Mela. Ma rispetto ad altre prove più opache, l'84enne regista, sganciato dall'obbligo di cercare una risata fragorosa, qui sembra più a suo agio a confrontarsi – per interposta persona – con un mondo a cui sembra volere dare un'altra possibilità.
Immerso nella fotografia volutamente irrealistica e accentuata del nostro Vittorio Storaro, che vira tutti gli interni ai colori del crepuscolo, riproducendo luce e riflesso di un tramonto perenne e ideale, il film racconta la storia di una giovane coppia di fidanzatini che parte per New York dove lei, la bionda Ashleigh, deve intervistare per il giornale del college un grande regista. Il suo ragazzo, Gatsby, decide di farle trascorrere un weekend indimenticabile, ma le cose per entrambi si complicheranno presto...
Da una parte l'inutilità snob dell'upper class, dall'altra le miss sorriso di vattelapesca che ancora si sciolgono (per avere qualcosa da raccontare ai nipotini...) di fronte ai miti di una fragile Hollywood: ma più che la critica sociale o di costume, Woody stavolta rende centrali le ansie del suo giovane protagonista (il lanciatissimo Timothée Chalamet, molto efficace), un <idiota speciale> non particolarmente bravo a baciare, giocatore d'azzardo fortunato e fumatore incallito, una passione per i film classici, i piano bar e i vinili (magari quelli di Irving Berlin), molto ben scritto nel suo ritrovarsi senza né arte né parte, inattuale e anacronistico, eppure consapevole di non volere quello che gli altri vogliono per lui. Brillante e imperfetto come forse solo lo stesso Allen sa essere, mentre, guardando a <L'ora di New York> e a <Lo sceicco bianco>, raggiunge la maturità di chi ha capito che si vive una volta sola: <e una volta basta se trovi la persona giusta>.
Festa di Roma: ecco il pagellone
Archiviata la Festa del cinema di Roma, ecco i nostri voti. Vai col pagellone!
MOTHERLESS BROOKLYN 5,5
Sparito da 4-5 anni, Edward Norton risorge regista: ma è meglio il Norton attore. Anche perché se il pubblico capisce in 3 minuti quello che il detective comprende in un’ora e mezza è probabile che ci sia un problema.
THE AERONAUTS 6,5
Storia vera e abbastanza incredibile dell’incontro in alta quata di due, a loro modo, emarginati. Si tenga forte chi soffre di vertigini: le sequenze in mongolfiera sono davvero emozionanti.
DOWNTON ABBEY 5,5
Schermaglie spumeggianti lucidano l’argenteria di una serie che sogna il cinema: è tutto al posto giusto, ma se il film inizalmente fa la punta a i dialoghi, nella seconda parte eccede esageratamente in buonismo.
THE FAREWELL 7
Cinema dell’incontro, che là dove la vita (e la morte) divide costruisce ponti, riannoda legami, stringe affetti. Bel rapporto nonna (saggia) e nipote (sradicata): Siamo in zona Kore-eda, con un po’ più di semplicismo.
HONEY BOY 7
Shia LaBeouf sceneggiatore racconta la storia del suo rapporto di bimbo prodigio con il padre inaffidabile. Interpretando, in un tranfert mica male, la parte di quest’ultimo. Sincero, sentito, tosto.
THE IRISHMAN 8,5
Quei bravi, vecchi, ragazzi: gli oldfellas di Scorsese in un film che sembra un testamento. Una grandiosa sinfonia sul tempo che passa, un affresco criminale di 50 anni di stori americana. Interpreti pazzeschi.
NOMAD 8
Herzog racconta l’amico Chatwin: e il cinema diventa subito viaggio. Un percorso interiore che riesce a raccontare non solo la grandezza sfuggente dello scrittore ma anche a riflettere sul cinema del regista.
JUDY 5,5
Biopic assai tradizionale che, come “Stanlio e Ollio”, racconta l’ultima tourneè in Inghilterra della star sfortunata che cavalcava l’arcobaleno. La Zellwegger, rediviva, canta benissimo: ma il film è convenzionale
WAVES 7/8
Una delle sorprese più belle: sequenza d’apertura che spacca, poi un film bifronte, diviso tra fratello e sorella. Per capire, finalmente in un modo originale, che cosa diavolo è essere una famiglia.
HUSTLERS 7
Il girl power? Ha tacchi alti e curve in vista. La storia vera al femminile dele spogliarelliste che spennarono gli squali di Wall Street: film molto glitter, luccicoso. Con una jennifere Lopez cinquantenne da urlo
Di nuca e di cuore: sabato a Parma i fratelli Dardenne
Quando sullo schermo vedi un attore inquadrato di nuca, non puoi fare a meno di pensarci: è una sequenza alla Dardenne, è quella cosa lì. Loro, Jean-Pierre e Luc, i due fratelli belgi che hanno inventato un nuovo modo di fare cinema, con quello stile ruvido e strappato alla realtà, il pedinamento zavattiniano aggiornato ai tempi nostri, le storie nude, l’autenticità dell’approccio e dell’intenzione, le domande, sempre più complesse, dell’etica. Negli ultimi 20 anni pochi registi hanno portato alla settima arte un contributo più importante di quello con cui i Dardenne, due volte premiati con la Palma d’oro di Cannes (un onore spettato a pochissimi), si sono fatti conoscere e apprezzare in tutto il mondo.
Per questo motivo non può che essere considerato un grande evento la loro presenza nella nostra città questo sabato, nell’anteprima del Parma Film Festival il cui programma verrà svelato domani mattina. La giornata parmigiana dei fratelli Dardenne comincerà nel pomeriggio, in Università: quando nell’Aula dei filosofi (nel palazzo centrale dell’ateneo) i due registi a partire dalle 16 converseranno con Roberto De Gaetano, professore ordinario di Filmologia all'Università della Calabria. Poi, alle 21, i due autori belgi presenteranno al cinema Astra in anteprima il loro ultimo film, “Le jeune Ahmed” (“L’età giovane”, il titolo italiano), che li ha laureati a maggio migliori registi del festival di Cannes.
Un romanzo di formazione che ha per protagonista un adolescente musulmano radicalizzato che, andando oltre l’indottrinamento dell’imam, tenta di uccidere la sua professoressa, considerata un’”infedele”... Un film semplice e a suo modo terribile che i Dardenne, scossi dagli attentati terroristici a Bruxelles nel 2016, avrebbero già voluto girare tre anni fa, a ridosso di quegli assalti: una fotografia senza sconti di un Belgio (e di un’Europa) che improvvisamente si è scoperto culla dell’estremismo, in uno sguardo che si rivela lucido sia davanti alla follia dell’estremismo che alla sincerità dei sentimenti.
I Dardenne, dopo l’incontro pomeridiano in ateneo, introdurranno il film - l’ennesima testimonianza importante della loro idea di intendere il cinema - davanti al pubblico dell’Astra in quello che è il primo atto del Parma Film Festival: la manifestazione che dal prossimo 3 novembre proporrà una settimana di grande cinema, tra anteprime, retrospettive e incontri con i protagonisti del grande schermo.
Ad Astra: la solitudine di Brad Pitt tra le stelle
<Per aspera ad astra>
E sì, il percorso è disseminato di difficoltà, impervio è il cammino che porta lassù, dove <lucean le stelle>. Lo sapevano gli antichi: lo sa anche James Gray, gran cantore minimalista della quotidianità, che stavolta mira (molto) in alto partendo dal futuro per arrivare a quello che in realtà gli sta più a cuore: l'oggi, l'uomo, il <noi adesso>, dove assenza è ancora e sempre più acuta presenza.
Cerca un padre, ma ne ha moltissimi <Ad Astra>, il fanta film edipico e suggestivo che Gray ha portato di recente all'ultima Mostra del cinema di Venezia: ricorda <Apocalypse now> in quella sua ricerca nel profondo, ha tanto di <Interstellar> con cui condivide anche il direttore della fotografia), ma anche reminiscenze di <2001> (quel misterioso accarezzare la faccia filosofica del genere) e persino di <Strategia del ragno> (anche se nessun altro ve lo dirà); disseminato di richiami alti (alla cui altezza non sempre riesce a stare), si interroga sull'io, là dove il grande enigma più che <dove andiamo> è <chi siamo>.
Il governo ordina a un astronauta (Brad Pitt: ottimo il suo antidivistico lavoro di sottrazione) di partire al più presto per una missione segreta: deve ritrovare nello spazio il padre eroe che tutti credevano morto. E che ora, forse, sta minacciando la Terra...
Acclamato dalla critica Usa, <Ad Astra> è un film intimista ambientato paradossalmente nello spazio più infinito (la terra di nessuno della nostra coscienza), un dramma introspettivo che paga il confronto con <Gravity> (anche in termini, imprevedibilmente, di credibilità), ma che ha dentro sin dall’inizio un senso d’addio, una solitudine siderale e contemporanea, che è qualcosa che ci appartiene. E che, soprattutto, ci riguarda.