Pioggia lurida su Roma: in Suburra il romanzo criminale di Mafia capitale
Piove su Roma, piove senza sosta, continuamente, incessantemente. Come un sottofondo che sfinisce di una nota sola, nella notte che sembra non dovere terminare mai. Piove, perché pare non possa fare altro, sulla città eterna, sulla capitale senza più morale, sui boss di periferia con vista mare, sui politici corrotti e arricchiti, sugli zingari cravattari che ora alzano la cresta. E' pioggia sporca, lurida, che non monda nessun peccato, forse perché a questo punto sono troppi: mentre un Papa si fa da parte e tutti gli altri vogliono invece essere al centro della scena. E reclamano un pezzo della torta, una fetta, una briciola almeno.
E' un film amaro, dissoluto e vendicativo, privo di un personaggio positivo, di un bagliore etico, del miraggio di un riscatto, <Suburra>, l'affresco in nero che Stefano Sollima (il regista di serie cult come <Romanzo criminale> e <Gomorra>) dedica a suo padre Sergio (quello di <Sandokan> e di diversi spaghetti western), tra mance troppo generose, mapping, mignotte, droga, esecuzioni fatte passare per incidenti, feste, mazzette, minacce, morti male o malissimo. Un quadro deprimente – e soprattutto decadente – figlio del libro profetico di Bonini e De Cataldo, capace di anticipare la recente vergogna di Mafia capitale, con la realtà che, come da copione, ha finito col superato la fantasia.
In ballo c'è una grossa speculazione sul litorale: hotel, casinò, ristoranti...Soldi, tanti soldi. Cosa nostra si muove affidandosi a un ex della Magliana, duro vero che tira i fili di una città che ormai persino lui fatica a riconoscere. Ma la morte di una prostituta porterà a conseguenze inimmaginabili anche per chi fa del crimine un mestiere e sfoggia con arroganza la sua (solo presunta) impunità.
Cupo, ritmatissimo, notturno, abbandonato, <Suburra> punta al ritratto d'insieme, ma fatica a farci amare o odiare veramente i personaggi in gioco, rivelando a tratti in modo scoperto (quell'esigenza di riassumere anche quello che non si è detto) la sua natura <telefilmica> (l'anno prossimo diventerà una serie per Netflix, l'Internet tv appena sbarcata in Italia); Sollima, che dai lavori che l'hanno reso famoso prende in prestito le tonalità, la medesima consistenza della <pasta> visiva, dimostra però, aggirandosi senza paura nel Far West metropolitano, di essere un regista vero (vedi la sparatoria nel supermercato: un momento di grande cinema di genere), energico, tosto. Capace di tenere testa anche a un gruppo di attori motivati. Tra cui brilla soprattutto la nuova stella di Alessandro Borghi: se in <Non essere cattivo> Marinelli rischiava di oscurarlo, qui è lui a suonarle a tutti.