La grande scommessa: il film outsider degli stregoni dell'economia
Sia chiaro: qui non ci sono eroi, qui non ci sono <buoni> (se non quelli del tesoro). Qui c'è gente che ha previsto l'<imprevedibile>: e ha fatto un sacco di soldi. Mica volevano salvare il mondo, ma almeno hanno provato a metterlo in guardia: peccato che il mondo abbia preferito continuare a ballare sulla tolda del Titanic...
E' sempre mosso, sempre un passo avanti, <La grande scommessa>: un film outsider dove la denuncia non porta la cravatta (o se proprio deve le strappa l'etichetta), fuori dagli schemi, mai alle regole, anticonformista e inaccessibile quanto alcuni dei suoi protagonisti. Un dramma impacchettato con la carta regalo della satira (e della controinformazione) che guarda negli occhi il pubblico per spiegargli la terribile crisi americana del 2008: la grande truffa delle banche, la bolla immobiliare, i titoli spazzatura. Uno <scherzo> che costò il lavoro a 8 milioni di persone: e la casa ad altre 6.
Storia vera di alcuni speculatori visionari, la pellicola (prodotta da Brad Pitt e candidata all'Oscar per il miglior film dell'anno), che il fin qui poco rilevante Adam McKay ha tratto dal libro-verità di Michael Lewis (lo stesso de <L'arte di vincere>) fa salti mortali e contorsioni tra i tecnicismi, ma dimostra grandissima disinvoltura nel montaggio frammentato, nell'uso della macchina a mano , così come nello zoom e nei fermi immagine. Un modo di dare del tu al cinema (nonostante la complessità, che a volte prende il sopravvento, dell'argomento) che si traduce in scelte eccentriche ma vincenti (Selena Gomez, nel ruolo di se stessa, che spiega il crollo dell'economia giocando a Black Jack...) e in un retrogusto di grottesca amarezza esaltato da un cast di magnifiche superstar: dal manager idealista e arrabbiato Steve Carell a Christian Bale, ex neurologo con un occhio di vetro, <guru> solitario e dissociato che ascolta la musica a un volume insopportabile e sta in ufficio a piedi nudi e braghe corte.