L'avvocato e il suo cliente: Auteuil conosce La misura del dubbio
Colpevole o innocente? Se fosse solo questa la domanda, sarebbe tutto più semplice. E invece c'è un avvocato allo specchio, un passato che non passa (e pesa, da qualche parte nel cuore), la legge e l'etica: e l'impossibilità di riconoscere il Male anche quando ci chiama per nome.
Attore magnifico da ormai mezzo secolo, Daniel Auteuil per il suo quinto film da regista dimostra di conoscere a fondo «La misura del dubbio»: portando sullo schermo una storia vera che sembra scritta per il cinema - colpi di scena compresi - dove con pazienza e puntiglio lavora ai fianchi il thriller processuale per metterne in evidenza, con stile rigoroso e mai effettistico, i tratti più psicologici, le umane debolezze, i rapporti che, fatalmente, da professionali diventano personali.
Presentato sulla Croisette nella sezione Cannes Premiere, il film insegue la verità che ci meritiamo tutti: anche il penalista Monier, che si ritrova a difendere un uomo accusato di avere ucciso la moglie. Sembra un caso troppo grosso per lui che da almeno 15 anni non entra nell'aula di un tribunale. Ma, nonostante le prove siano contro l'imputato, Monier si appassiona al suo destino.
Quasi interamente giocato sul rapporto cliente/avvocato, un personaggio, quest'ultimo, profondamente anti eroico, «La misura del dubbio» mantiene sempre alta la soglia dell'attenzione, evitando cali di tensione sia in tribunale che fuori. Auteuil, che si ritaglia con la solita capacità di sottrazione il ruolo di protagonista (ma è bravissimo anche Grégory Gadebois, il cliente), attraversa in precario equilibrio il terreno pronto a franare dell'umana coscienza, realizzando un film compiuto e implacabile su quello a cui decidiamo di credere. E di raccontare a noi stessi prima che agli altri. Mentre il bel crescendo finale obbligherà a un nuovo cambio di prospettiva: là dove la legge è uguale per tutti, ma il processo più difficile da vincere è sempre quello interiore.