L'orchestra stonata, se la musica rende fratelli

L'orchestra (nonostante quello che dice il titolo) non è affatto stonata, la banda solo un po', ma il film, in compenso, è intonatissimo: perché se non c'è la bacchetta, poco importa, si può dirigere anche con un mestolo. E seduti al piano è un attimo che Verdi diventi boogie-woogie. Prende il la dalla marcia trionfale dell'Aida per approdare, passato attraverso il jazz e Aznavour, nel crescendo irresistibile del Bolero, «L'orchestra stonata», il film che i francesi sanno fare e noi no: cinema medio ma mai mediocre, popolare e schietto, colto ma senza spocchia, serio quando serve ma non serioso, che va subito al punto ma non è esente da sorprese. E arrampicandosi sulle righe dritte (che al massimo è la vita che va storta) di un pentagramma arriva ovunque: anche, pensa un po', al cuore.

Premio del pubblico al Parma Film Festival (quando ricevette un'unanimità di consensi) e a San Sebastian, quella di Emmanuel Courcol (regista di «Un triomphe», il film che ispirò «Grazie ragazzi» di Milani) è una dramedy ispirata che conosce l'invisibile partitura dei sentimenti, un film pieno di speranza anche quando non ce ne è più. La storia di Thibaut, acclamato direttore d'orchestra che malato di leucemia, ha bisogno di un immediato trapianto di midollo osseo; scoprirà così di essere stato adottato e che l'unico che può aiutarlo è un fratello di cui non sospettava l'esistenza: Jimmy, inserviente nella mensa di una fabbrica che sta per chiudere a Walincourt, vicino a Lilla. E componente (dall'orecchio assoluto...) della banda sgarrupata di quella depressa cittadina di minatori...

Tra le sliding doors, anche amare, dell'esistenza, nel dilemma irrisolvibile di chi ha avuto tanto e chi (troppo) poco, Courcol fa risuonare il potere salvifico della musica, che affratella e rende comunità, famiglia, girando un bel film di pancia sulla scoperta dell'altro. Lo sguardo è pulito, il tono ibrido, l'umanità contagiosa: si ride di quella banda scalcinata (c'è quello sordo, quell'altro che non legge lo spartito perché va orecchio, quello che ha sempre da dire...), sorprendendosi commossi per i legami recisi e riallacciati, per l'empatia, per la sorte dei personaggi. In un'alternanza di emozioni che già di per sé è sinfonia anche quella. E se la trama a tratti è prevedibile, il crescendo finale è la cartina di tornasole di un cinema che ha il coraggio di non adagiarsi sulle comodità delle soluzioni più facili.

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