Megalopolis, l'ultimo, folle, sogno di Francis Ford Coppola
Intendiamoci: io a uno che ha fatto «Il padrino», «Apocalypse Now» e «Rusty il selvaggio» non la getto la croce addosso. Ma davvero il progetto di smisurata e ingombrante ambizione che il padrino (e patriarca) del cinema Francis Ford Coppola ha inseguito per oltre 40 anni, il «kolossal della vita» di un autore che in questo sogno (ben più lungo di un giorno) non ha messo solo la faccia ma pure i soldi (120 milioni di dollari del suo patrimonio personale...) ti chiama a cimento: perché oltre che folle, l'ultimo film del cineasta italoamericano è un apologo politico caotico e megalomane, volutamente (ma eccessivamente) kitsch, in cui Coppola - mischiando con audacia temeraria le Catilinarie con l’assalto a Capitol Hill, la decadenza dell’antica Roma con le proteste e il malcontento odierno - canta il declino dell’impero americano, ma rischia di mostrare soprattutto il suo.
Così mentre New York diventa New Rome (ma più che altro sembra Gotham City) e il Madison Square Garden si trasforma nel nuovo Colosseo, l’idea rivoluzionaria di Catilina, un uomo capace addirittura di fermare il tempo, di realizzare una metropoli inclusiva e sostenibile è ferocemente osteggiata dal sindaco Cicerone, la cui figlia però decide di schierarsi con l’avversario del padre...
Ultimo dei visionari e degli utopisti, Coppola, a 85 anni, dimostra di credere ancora con sorprendente, commovente, ottimismo che un altro mondo (e un altro cinema) è possibile. Ma il parallelismo tra la città eterna e la New York del futuro prossimo venturo risulta per lo più strampalato, il de profundis per una società chiamata a un cambiamento radicale se non vuole estinguersi si sposa raramente in modo efficace con il ricorso a una cifra grottesca poco consona all’autore e la forza dell’appello, infine, risulta frenato dalla retorica che inficia le promesse di un mondo nuovissimo. Insomma, il pasticcio è dietro l’angolo e la materia filmica (e liquida) di Coppola deborda come in un sogno (e a volte un incubo...) che fa di «Megalopolis» una fiaba fantasmagorica e a tratti trash di cui il regista, per quanto dimostri coraggio e vitalità, fatica a mantenere il controllo.
Il cast all star si adegua, ma non è facile stare dietro al desiderio, di uno dei più grandi registi viventi di cambiare le regole del gioco. Che sa anche essere crudele.