La diseducazione di Cameron Post: quella gioventù insaziabile e incompresa
C'è qualcosa – anzi molto – di autentico, sincero, anche carnale, una spinta a cui non puoi opporti, un desiderio difficile, per non dire impossibile, da reprimere, ne <La diseducazione di Cameron Post>: c'è la gioventù (le sue domande, le sue scoperte e le sue ferite...), insaziabile e incompresa, la ribellione alle aspettative degli altri, l'impossibilità di non assecondare la propria natura, il proprio vero io in questa assai riuscita opera seconda della 34enne Desiree Akhavan. Che porta sullo schermo, con taglio indie e scrittura appuntita e disinvolta, il romanzo di culto (e di formazione) di Emily M. Danforth per celebrare la riaffermazione di un'identità che troppi vorrebbero cancellare.
La storia, datata '93, di un'adolescente (Chloë Grace Moretz, molto brava) scoperta a fare sesso con una compagna di scuola. La zia non ci pensa su due volte e la spedisce in un centro di riabilitazione evangelico per guarire dalla sua <malattia>: l'omosessualità...
Nell'imbroglio di una fede strumentalizzata, di un'età <votata al maligno>, il film, vincitore dell'ultimo Sundance, guarda con affetto ai suoi ragazzi perduti, rifiutati da tutti - genitori compresi -, e costretti a sentirsi sempre colpevoli, diversi, dalla parte sbagliata del mondo. Che poi è il posto dove il cinema di solito trova le storie che vale la pena ancora raccontare.