La paranza dei bambini: vorace e autentico, alla faccia di chi ci vuole male
C'è una cosa molto bella, tra le tante, ne <La paranza dei bambini>: che il passato non esiste e il futuro nemmeno. E' tutto declinato al presente, oggi, adesso, subito. Alle spalle c'è ancora troppo poco per potersi tatuare, da qualche parte, un ricordo: e davanti non c'è nulla, se non una strada che non porta da nessuna parte, promesse che non si possono mantenere e vite da bruciare in fretta. E' un film così, quello di Claudio Giovannesi: si carica sulle spalle il destino dei vuoti a perdere, di chi le cose non riesce mai a cambiarle davvero. Autentico e sincero, vorace e perduto: Rolex al polso e le Nike ai piedi. E i selfie con la pistola in pugno. Che un giorno pianti una pallottola in pancia a un infame e il giorno dopo litighi col fratello più piccolo perché ti ha rubato la crostatina...
C'è violenza, ma anche tenerezza e molta ingenuità nei protagonisti della banda che Giovannesi accompagna sullo schermo dalle pagine di Saviano: ragazzini di 15 anni o giù di lì, adolescenti che sognano la svolta, il giro grosso. Affascinati, nella Napoli di Gomorra, dalle armi e dalle t-shirt col logo in vista: e che, alla prima occasione, cercano di prendersi il quartiere. Perché coi soldi ci compri tutto: il tavolo riservato in discoteca e lo specchio dorato. Alla faccia di chi gli vuole male, alla faccia di chi neanche li considera.
Sempre in movimento (quelle corse sugli scooter, in due e senza casco, nella babele di vicoli-labirinto), molto fisico (i baci, gli abbracci, la vicinanza di un gruppo che è famiglia più che branco), <affamato>, <La paranza dei bambini>, unico italiano in concorso al Festival di Berlino (dove è stato accolto benissimo), ha un orgoglio, una fierezza quasi primitiva, nel raccontare l'educazione criminale di una generazione senza speranza. Quella a cui Giovannesi – una spiccata sensiibilità e un interesse sincero (come ha dimostrato nelle ottime prove precedenti, <Alì ha gli occhi azzurri> e <Fiore>) per i giovanissimi e gli esclusi – restituisce una voce e uno sguardo e sta addosso dall'inizio alla fine, stretto sui volti e sulle nuche. Per girare un film sulla perdita dell'innocenza (di uno e di tutti), là dove la guerra sembra un gioco ma lascia per terra morti veri. E nelle scelte senza ritorno di chi scelta non ha (bello il finale troncato, quasi un <Mucchio selvaggio> svuotato di epica), <La paranza dei bambini> trova la sua cifra, la sua liturgia: affondando gli artigli in un'autenticità (gli interpreti, pescati tra le strade del Rione Sanità, sono tutti alla prima esperienza cinematografica) non corrotta. Come gli occhi fondi del protagonista Francesco Di Napoli, scelto benissimo: adulto-bambino che questa storia se la porta scritta in faccia. Sulle rughe che ancora non ha.