Troppa grazia: il vero miracolo siamo noi
E' un film dedicato a chi <cerca di fare sempre il meglio che può>, <Troppa grazia>; ma è anche un film su un'epoca che nasce debole, costretta a volte per sopravvivere a tradire i propri ideali. Eppure ancora piena di uomini e donne capaci di <redimersi>, e di resistere a ogni tentazione: anche a quella, paradossalmente, di essere <felici>. Anzi, di più: di essere come tutti gli altri. In un mondo dove <il silenzio paga>, e in cui nessuno <ha più tempo per credere>, Gianni Zanasi gira con pathos etico molto più che religioso un film originale, differente, coraggioso, che cammina sulle uova senza romperne nessuna, trovando conforto anche nell'attraversare il tunnel dell'orrore, dove i rischi e i pericoli si affrontano col sorriso sulle labbra.
La storia di Lucia, geometra precaria con figlia a carico, chiamata a fare un rilevamento su un terreno in piena campagna, dove dovrebbe sorgere un grande centro immobiliare. Ma qualcosa non quadra: forse però è meglio fare finta di niente. Lucia ci prova, ma un giorno, in quel campo, le appare la Madonna...
Qualcosa di più di una favola ambientalista, <Troppa grazia>: piuttosto, un ragionamento su se stessi, sulla meraviglia, sulla bellezza (e sulla grazia, mai troppa) di cui riappropriarci e, successivamente, tramandare. Per aprire la strada - in quella dimensione surreale e ironica, in quel misticismo gentile ma pragmatico (la Madonna all'occorrenza mena pure le mani...) -, a un dubbio che si fa fessura, poi porta, infine possibilità. Un percorso intimo e insieme politico che Zanasi segue facendo deragliare volutamente il suo film dai binari dell'ordinario affrancandosi – come la sua protagonista (Alba Rohrwacher, bravissima: addirittura chapliniana nella gestione del corpo) - da quello che è già stato stabilito, da ciò che altri, sempre altri, hanno già deciso. Perché alla fine l'unico miracolo – forse – siamo proprio noi.
Parma Film Festival, una settimana esaltante: stasera si chiude con "Troppa grazia"
L’inzio col botto con la folla per Lo Cascio scrittore, Fasulo e il suo eretico, i disegni dal vivo, per matita e musica, di Ricci, il “Fuoricampo” di Zagarrio, le notti magiche, in Oltretorrente, dei giovani protagonisti di Virzì, Roberti e Martone, i segreti alla moviola di Spoletini, le foto di Bevilacqua, i pittori di cinema, l’emozione di Occhipinti durante gli applausi per “Cold War”, la Nicchiarelli in carcere tra una poppata e l’altra, il cinema italiano secondo De Gaetano, “Io c’ero” e le sue discoteche-cattedrali dismesse, la Siria a fuoco di “Still recording”, le locandine del ‘68: le mille emozioni (e tante altre ancora) del Parma Film Festival. E’ stata una lunga, esaltante, settimana. Che si chiude stasera, al cinema Astra: l’appuntamento è alle 21 con l’anteprima di “Troppa grazia”. Con il regista Gianni Zanasi in sala e Alba Rohrwacher in collegamento skype.
La felicità è un sistema complesso: Mastandrea tra dolore e leggerezza
E' un bel soggetto Gianni Zanasi: uno che arriva dalla patria delle ciliegie (Vignola, Modena) e si porta dietro una faccia da fumetto di Pazienza. Uno di quelli li', che sembrano sempre entrati a meta' del secondo tempo. E, tra le altre cose, ti gira un film (bello) come <Non pensarci> da cui fanno pure una serie quando ancora non andava di moda: e poi per rimettersi dietro la macchina da presa ci mette 7 anni, per non dire 8.
Che lo guardi e fa fatica a non starti simpatico: perché e' davvero un po' senza difese come il suo cinema. A cui finisci per volere bene senza sforzo perché e' empatico, vitale, privo di lacci. Pieno di freschezza e di energia, anche se imperfetto. Ma forse più per generosità che per difetto.
E' il caso anche de <La felicità è un sistema complesso>, commedia seria che nasce e muore agrodolce in cui il cinquantenne regista emiliano segue le tracce di Enrico Giusti, manager di un grande studio specialista nel convincere giovani e scellerati capitani di industria a cedere le loro aziende prima di un inevitabile tracollo, prima che sia troppo tardi per tutti, dipendenti compresi. Due incontri pero' fanno vacillare le sue certezze: quello con una giovane e spaesata israeliana, che gli molla in casa l'inaffidabile fratello minore, e un secondo con due ragazzini, orfani ed eredi di un grande imprenditore...
Nel Paese <in cui non e' mai colpa di nessuno>, dove tutti hanno perso qualcosa o qualcuno, un film con la faccia pulita che, tra profitto e etica, misura l'inconfessato smarrimento di un protagonista irrisolto dei nostri giorni, <salvatore> di professione che non sa salvarsi da solo. Un percorso esistenziale a tratti anche molto divertente quello <La felicità è un sistema complesso>, che ha dentro un misto di dolore e leggerezza, di rancore e tenerezza: un film che ti permette di dare del tu a tutti i personaggi e magari anche di andarci a prendere l'aperitivo fuori, anche se non immune da sbavature, da qualche scarto. Come una certa insistenza negli inserti surreali, l'eccessivo ricorso alle canzoni, qualche momento che sembra affetto da autocompiacimento. Piccole note stonate ricucite e restituite al tutto da un gruppo di interpreti molto complice e in palla, a partire da un Valerio Mastandrea sempre più bravo, dall'imprescindibile Giuseppe Battiston, ma anche dall'israeliana Hadas Yaron che, miglior attrice alla Mostra di Venezia nel 2012 per <La sposa promessa>, si lascia catapultare da un altro mondo nella folle <banda Zanasi>.