Il cattivo poeta: l'ultimo D'Annunzio e i tempi dal cielo chiuso
In tempi dal cielo chiuso, tramonto e (non banale) lascito del poeta-guerriero che, protagonista della Storia, dalla Storia venne messo da parte. Emarginato nella sua torre d'avorio, affogato nella nostalgia del suo stesso mito, prigioniero di un auto esilio da cui dolersi con rabbia (e rimpianto) di un regime sempre più abbietto. C'è l'ultimo D'Annunzio, vampiresco e crepuscolare, ne «Il cattivo poeta», debutto ambizioso ma non del tutto a fuoco di Gianluca Jodice, ma c'è soprattutto la contrapposizione tra l'estro alato di un intellettuale coltissimo e la ferocia assurda e metafisica (efficace in questo senso l'impersonificazione di Mussolini) di un potere fondato sul terrore. Un film su D'Annunzio quello di Jodice, che ha inquadrature che citano le geometrie de «Il conformista», in cui il Vate, amatissimo in vita e guardato con fastidio dopo la sua morte, in realtà non è il vero protagonista, ma l'«oggetto dell'inchiesta» di Giovanni Comini, un giovane federale a cui nel '36 viene dato il compito di spiare il popolare (e scomodo) poeta. La conseguente fascinazione è il primo passo di un percorso di formazione e metamorfosi che costringe il fascista a mettersi in gioco: e in dubbio. Girato quasi interamente al Vittoriale, «Il cattivo poeta» insegue una cifra stilistica (la fotografia anticata...) volutamente d'antan aggrappandosi a un Castellitto che fa del poeta una rappresentazione dolente e sofferta, permettendosi anche qualche escursione sopra le righe. Un esordio non scontato ma a cui sarebbe servita un po' più di (dannunziana?) audacia.