Ella & John: la pazza gioia di chi il finale se lo scrive da sè
C'è tanta strada in questo film: davanti, ma soprattutto dietro. Nemmeno sempre asfaltata, a volte piena di buche profonde come segreti, altre di curve, cieche come abbracci dati ad occhi chiusi. E c'è un viaggio da fare. E sì, da qualche parte, dentro l'amarezza di giorni che stingono, c'è anche qualcosa che assomiglia alla gioia: pura, autentica, improvvisa. Anzi, pazza. Così come la <scandalosa> ribellione di chi il finale, se non vi dispiace, se lo scrive da solo: con buona pace di medici e figli, benpensanti e parolai.
Al primo film in lingua inglese della sua carriera, Paolo Virzì va alla scoperta di un'America minima, non turistica e tantomeno stereotipata, per raccontare l'ultimo giro in giostra di una coppia di anziani entrambi gravemente malati. Lui, il professore che forse tutti avrebbero voluto avere, ha l'Alzheimer, lei, lucidissima e coraggiosa, si sta spegnendo a causa di un tumore. Un giorno, senza dire niente a nessuno, salgono sul loro vecchio camper: destinazione la casa-museo di Hemingway a Key West...
Om the road agrodolce, crepuscolare, sentimentale, <Ella & John>, sequel ideale de <La pazza gioia>, è un film realizzato in maniera piuttosto convenzionale e a volte prudente, ma tenero e malinconico nel cogliere la romantica rivolta all'affronto di invecchiare di un uomo e di una donna che inseguono un'ultima occasione, un ultimo ricordo da potere, subito dopo, dimenticare.
Intima, sensibile, felice (come spesso accade nel cinema dell'autore toscano) nel mescolare toni e colori di segno anche opposto, la pellicola, che si appoggia - senza paura di schiacciarli - sulle spalle di due fenomeni come Helen Mirren (candidata per questo ruolo al Golden Globe) e Donald Sutherland, diretti da Virzì a viso aperto, senza farsi intimidire, rilegge il romanzo di Michael Zadoorian, che lo stesso regista - insieme a Francesca Archibugi (che nella Livorno di Virzì ha girato la serie <Romanzo famigliare>, attualmente in programmazione, con successo, su Rai Uno), Francesco Piccolo e Stephen Amidon -, ha adattato a una sensibilità propria, a un contesto culturale che gli era più congeniale.
Ritrovandosi così a celebrare non solo un viaggio <estremo> nell'America che si accingeva a eleggere Trump (big country che ha perso la poesia e che i due protagonisti non riconoscono più), ma, più di tutto, la storia di un grande amore. Che non accetta di essere oltraggiato dal tempo né di essere reso schiavo dalla malattia. E decide che nessuno può decidere per lui.