Quei segreti di famiglia più forti delle bombe
Comincia come un mistery ma è un dramma familiare, dove si agita il fantasma dell'assenza e le emozioni restano imprigionate in un tempo sospeso, come istanti infiniti impressi – per sempre - in una foto, il primo film americano del 41enne norvegese di belle speranze Joachim Trier, <Segreti di famiglia>, che, dimenticato per lungo tempo in cantina, arriva ora sullo schermo dal Festival di Cannes dell'anno scorso.
Problematica, densa, la pellicola, raccontata da diversi punti di vista, attraversa, senza nasconderne le cicatrici (visibili e non), complesse dinamiche familiari dove conflitti in atto o pronti ad esplodere definiscono anche le pieghe del desiderio, della mancanza, della rinuncia.
C'è qualche reminiscenza del migliore Egoyan (quello di un po' di anni fa) nella storia - attraversata da molteplici flashback - di un padre (Gabriel Byrne) e dei suoi figli, uno dei quali ancora non ha superato la feroce realtà della tragica morte della madre (Isabelle Huppert), fotoreporter di guerra rimasta uccisa in un incidente stradale e ora celebrata in una grande mostra: un'elaborazione del lutto, quella di Trier (<Reprise>, <Oslo, 31. August>), che lavora ai fianchi il non detto, in una contaminazione stilistica che, tra molte reticenze e falsi movimenti, continua a <scartare> dalla via maestra, confondendo la messa a fuoco dell'onnipresente (anche quando assente) protagonista, moltiplicando i punti di visti nel rifiuto di un vero e proprio (magari più rassicurante) centro.
Film intimo, pieno di vuoti, di silenzi, di ricordi a orologeria, <Segreti di famiglia> (decisamente più bello e significativo però il titolo originale, <Louder than bombs>, più forte delle bombe, identico a quello di un album degli Smiths) non si accontenta della superficie e scava (senza paura di sapere cosa potrebbe trovare) a fondo, anche se alcuni escamotage narrativi suonano un po' già visti e il ricorso alle voci off (per quanto funzionale) risulta a volte troppo insistito e programmaticamente evocativo. Ambizioso (per certi aspetti promette più di quello che mantiene), ambiguo, ma formalmente (ed emotivamente) riuscito, il dramma di Trier – nell'identificazione di una donna da (ri)scoprire - osserva lo specchio rotto dei sentimenti e dei rimorsi, ma supera l'amarezza per tendere alla riconciliazione. Non solo attesa: ma necessaria.