Io me la ricordo deserta, come una domenica d'agosto, anche se era un altro giorno e forse anche un'altra stagione. Poche auto, un taxi che sembrava uscito da un film in bianco e nero, rari, invisibili, negozi. E poi, a squarciare quel velo di silenzio quasi irreale, l'improvviso, allegro, «rivoluzionario», vociare di un matrimonio. Come una sospensione del tempo (perduto?), una crepa, profonda, dell'istante: un serpentone entusiasta seguiva la ragazza con il vestito bianco. E il suo sorriso: così aperto, felice e sincero da riportare anche il sole. Ecco, di Odessa, davanti a quella scalinata così famosa che porta al mare e da dove ora, in queste gelide notti di paura, quando il cielo è limpido, puoi vedere balenare nel buio le luci delle fregate e degli incrociatori dello zar Putin, io mi ricordo soprattutto questo: il sorriso della sposa. Non so che giorno fosse, ma era sicuramente un'altra epoca: il muro era ancora in piedi, la guerra era «solo» fredda e non c'era né Russia né Ucraina, ma la potente, soffocante, Unione sovietica. E le interpreti si litigavano ancora le riviste di moda che laggiù non arrivavano mai: forse perché, su quella costosa carta patinata, dimostravano, in qualche modo, che un altro mondo era possibile. Sugli scalcinati pullman che trasportavano i turisti gli autisti attaccavano adesivi di benvenuto: «No Nato», c'era scritto. Farebbe sorridere, se la situazione non fosse invece drammatica, pensare che forse è cambiato tutto perché tutto rimanesse uguale. La grande madre Russia, che a tutto pensa e tutto muove, è spaventata dalla svolta europeista dell'Ucraina, dalle sue simpatie per la Nato e dal costante avvicinamento verso l'alleanza atlantica. Brucia ancora – e da ormai trent'anni – la fuga dell'Ucraina verso la libertà, l'indipendenza orgogliosamente ottenuta mentre l'Urss si sgretolava in tanti piccoli pezzi. Una ferita non rimarginata su cui gli ucraini hanno gettato sale cacciando nel 2014 l'allora presidente Yanukovich, filo russo, evidentemente pure troppo. E allora ecco l'annessione della Crimea da parte di Putin, ecco la rivolta dei separatisti filo-russi nel Donbass: schiaffi per riportare Kiev e (ex) compagni alla ragione. Bella, corrotta e preoccupata l'Ucraina: il granaio d'Europa, ora centrale anche per la grande partita (che molto interessa anche l'Europa) del gas. Come una donna contesa tra due uomini sul confine rovente della Storia: il vecchio amante che minaccia di venirsela a riprendere con la forza, quello nuovo che l'attende a braccia aperte. Nel mezzo, la possibilità di una guerra lampo dalle conseguenze incalcolabili. O forse solo un bluff perché tutto resti così com'è. Intanto Mosca richiama alla base alcune forze militari sul confine. Un primo segnale di distensione? Chissà. Ma intanto, a Odessa, si preparano: dei russi non si fidano da secoli. L'attacco, dicono, potrebbe arrivare da qui, dal mare. Proprio sulla porta dell'Europa, in quella meraviglia sul Mar Nero. Magari su quella stessa scalinata di 192 gradini su cui è già stata fatta la storia: ma quella del cinema. Era il 1925, quasi un secolo fa: l’Unione Sovietica voleva festeggiare il ventennale della sua prima rivoluzione. Cosa meglio di un grande film di propaganda? Chiamarono un ragazzo di 27 anni, un visionario dai capelli sparati in aria: il suo nome era Sergej Ejzenštejn. Lui, uno dei più grandi pionieri della settima arte, capace di influenzare per sempre il linguaggio filmico, avrebbe dovuto girare a Odessa solo poche scene. Ma rimase folgorato da quella scalinata progettata (anche) da un architetto italiano, Francesco Boffo. E in un attimo decise che la forza simbolica avrebbe superato anche la verità storica. Vero infatti che la rivolta del 1905 venne soffocata nel sangue dai cosacchi dello zar: meno, pare, che il sangue venne versato proprio su quelle scale. Dove invece il giovane cineasta russo ambientò quella che di certo è la più famosa sequenza della storia del cinema: il massacro de «La corazzata Potëmkin». Le riprese durate una settimana, la carrozzina lasciata precipitare dalla madre colpita a morte, la pellicola tenuta insieme dalla saliva, incollata in qualche modo pochi minuti prima della prima: difficile dire dove finisca il cinema e cominci la leggenda. Quella di un film reso immortale anche da una celebre battuta di Villaggio/Fantozzi e dall'omaggio riverente di De Palma ne «Gli intoccabili». Poco importa: sulla scalinata di Odessa - la Gradinata Richelieu ora ribattezzata Potëmkin-, la stessa da dove, adolescente, ho guardato il mare, ora attendono, di nuovo, la vendetta dei cosacchi. Aspettano di girare un altro film, di cui nessuno però conosce il finale. E mentre le luci delle navi da guerra squarciano il buio all'orizzonte, io penso a quella sposa, a che fine abbia fatto: e se ancora trovi la forza di sorridere.