Ready Player One: Spielberg, il Sacro Graal e il gioco della vita
Non ha Facebook, né Twitter, né Instagram, rimpiange i Duran Duran e probabilmente smanettava con i primi Atari. E può permettersi di affrontare (metaforicamente) quel tronfio di Zuckerberg e dirgli in faccia: <Ehi bimbo, tu non lo sai: ma tutti i sogni più belli li hanno inventati quelli come me>. Perché nel grande gioco della vita solo chi non gioca ha già perso.
Cercheranno di convincervi che è solo un popcorn movie pieno di effetti speciali e invece è veramente un bellissimo film quello con cui Steven Spielberg difende dall'abisso di un mondo fasullo sempre più social che sociale il valore inestimabile della realtà, l'introvabile Sacro Graal di una società virtuale che invece di affrontarli evade dai suoi problemi.
Nel 2045, in un'America stanca dove non ci si ribella più per i diritti civili ma al massimo per la banda larga, l'unico passatempo è Oasis, un incredibile mondo virtuale dove Wade, un ragazzo, forse cerca solo se stesso...
Irresistibile celebrazione della cultura pop degli anni '80, immaginifica riflessione sulla solitudine contemporanea (o da tastiera...), <Ready Player One> è un film manifesto spiritoso, creativo e spettacolare che gioca meravigliosamente con la nostalgia di quello che potremmo perdere. Il regista di <E.T.> ci mette tutto: <Quarto potere> e <Space invaders>, <Ritorno al futuro> e <Gundam>, <Alien> e Michael Jackson. E in un omaggio continuo, senza sosta – geniale e <definitivo> quello a <Shining> (<vieni a giocare con noi?>) -, fonde come nessuno prima il film game al teen action ricordandoci il piacere di un universo (<ci siamo dimenticati come si sta all'aria aperta>) più lento e autentico. Perché <per quanto spaventosa, la realtà rimane l'unico posto dove fare un pasto decente>.