Il cliente, le profonde crepe del palazzo della morale
Ha l'aspetto di un implacabile thriller esistenziale giocato tra realtà e finzione (con l'artificio dichiarato al debutto e il sottotesto, insinuante di <Morte di un commesso viaggiatore>), ma più di tutto è un dramma etico che apre crepe profonde nel palazzo vuoto della morale, <Il cliente> dell'iraniano Asghar Farhadi, uno che un film non lo sbaglia nemmeno per scherzo. Traumatica e crudele riflessione sulla natura umana e – in particolare – sulla violenza che, in un modo o nell'altro, ci appartiene e di cui non siamo capaci di gestire le atroci conseguenze, la pellicola, che a Cannes ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura e quello per il migliore attore (Shahab Hosseini, interprete feticcio di Farhadi), racconta, con un copione a orologeria, di Emad e Rana, una coppia che, a causa di un cedimento strutturale del condominio dove abita, è costretta a trasferirsi in un altro appartamento. Lo stesso dove poco dopo la donna viene aggredita da un uomo che forse sta cercando la precedente inquilina. Rana è sotto choc: mentre Emad pensa solo a come farsi giustizia...
In un Paese dove lo Stato è assente, e la giustizia è una questione privata a cui solo l'umiliazione pubblica sembra potere dare ristoro, Farhadi (<Una separazione>, <Il passato>), triplicato lo spazio scenico, osserva - seguendo la linea frastagliata di fratture anche interiori -, l'implosione di un amore, il crollo morale di un mondo che, anche se avrebbe i mezzi culturali per respingerla, è accecato dalla rabbia, finendo per rivelarsi peggiore persino dei suoi stessi carnefici. Messa in scena la lacerante commedia della vita, il regista iraniano fa del suo borghese piccolo piccolo che recita Miller un personaggio da tragedia greca: nessuno potrà salvarlo dal fantasma della colpa; abbandonato e inutile come quel palazzo che si sta sbriciolando, metafora di un'epoca e di un Paese.