Pudore e poesia: La tartaruga rossa in pace con il mondo
E' come ballare senza musica, a piedi nudi nella sabbia, quando ci si è detti tutto anche se non ci si è detti niente: un ultimo giro, prima che il tempo ricominci a camminare. C'è anche il nostro naufragio, gli sforzi inauditi per raggiungere un risultato infinitesimale, quel sentirci intrappolati nella solitudine di un ciclo perenne ne <La tartaruga rossa>: ma c'è soprattutto una (singolare, nei modi e nelle attenzioni) ricerca di pace, di serenità, che non è dettata tanto dalla rassegnazione quanto invece dalla conoscenza dei propri limiti e delle proprie possibilità, così come del giusto e del vero, nella ricerca di un'armonia che si traduce nell'ambizione silente di una felicità intima e semplice, là dove oltre l'orizzonte c'è solo il fastidioso rumore del mondo.
Spoglia le sovrastrutture del pensiero e riduce a sabbia primitiva gli inganni universali della frastornante modernità, la favola animata che, inseguendo il tratto antico e tenerissimo di una matita, segna, con delicatezza e poesia, la prima incursione del celebrato Studio Ghibli nel vecchio continente. Un film pieno di pudore, magico, lirico, limpido, che si annulla nel rapporto con la natura (anche quella umana) per raccontare i tentativi di fuga dall'isola deserta dove è approdato un giovane uomo. Che ogni qual volta che costruisce una zattera e prova a prendere il largo viene fermato da una testuggine che più che un leviatano è una metafora: enorme e senza tempo, struggente e indispensabile.
Cartoon muto (accompagnato solo dai suoni dell'ambiente e dalla <voce> della musica) e per lo più disegnato a mano da un debuttante di 63 anni (l'olandese Michaël Dudok de Wit, che all'attivo ha già però un cortometraggio da Oscar), <La tartaruga rossa> (premio speciale della giuria a Cannes a <Un certain regard>) trova nel gesto e nel simbolo, oltre che nel linguaggio del corpo, l'ombra di un sentimento reale, l'abbraccio col mondo, nel rispetto del corso, inevitabile, delle cose: lottare, amare, proteggere, invecchiare, morire. Un film animista, spirituale, <nudo>: che va al di là della purezza e autenticità dell'immagine per elevarsi sulla conta dei nostri fallimenti nel mare aperto delle difficoltà apparentemente insormontabili e trovare un senso, un significato, una riconciliazione con sé e col creato (anche quando questo mostra il suo volto più feroce) nell'isola che non c'è dove basta poco per avere tutto.