Todd Haynes spalanca La stanza delle meraviglie
I bambini ci cercano: e scappano, chiedono, sognano. Forse anche, non a torto, pretendono: un briciolo di attenzione, ad esempio. E un posto in un mondo, che invece sembra sordo alle loro domande e ai loro desideri.
Tra protesta, ribellione e ricerca di sè: in fuga, nella speranza di un altrove. Come i protagonisti di <La stanza delle meraviglie> dell'americano Todd Haynes (il grande regista di <Lontano dal paradiso> e <Carol>) che si muovono addirittura su un doppio binario temporale, finendo, grazie a un toccante corto circuito narrativo, col convergere.
Le vite parallele di un bimbo del '77 e di una ragazzina di 50 anni prima: lui, persa la madre, si muove verso New York in cerca del padre che non ha mai conosciuto, lei, vessata da un padre padrone, nella Grande Mela spera invece di incontrare l'attrice dei suoi sogni...
Raffinatissimo nel suo suggestivo contrappunto anche stilistico - la parte del '27 è raccontata in bianco e nero come un film muto, anche per creare piena adesione ed empatia con la piccola protagonista, sorda dalla nascita, mentre quella del '77 è satura dei colori e della musica (a partire da <Space oddity>, tributo a Bowie, utilizzata nella versione italiana anche da Bertolucci in <Io e te>) di quegli anni vibranti -, <La stanza delle meraviglie> trasforma in immagini (con la nota cura maniacale, quasi feticista, di Haynes per i dettagli) un romanzo di Selznick (lo stesso di <Hugo Cabret>) e ne ripropone lo stupore, che è proprio dell'infanzia ma è parte fondante anche del cinema.
Bambini che ci guardano e ci giudicano: soli, emarginati, indifesi eppure coraggiosi. Bambini che in qualche angolo recondito della memoria, una volta o l'altra, siamo stati anche noi. In un tempo perduto, smarrito, quando sentivamo solo con il cuore: come questo film, sordo ai rumori del mondo, ma attento a quelli interiori, in perenne ascolto di quel caos per nulla calmo che agita lo spirito fanciullo, la magia ancora vergine dell'avventura di crescere.
A Cannes, dove venne presentato l'anno scorso (arriva in sala 14 mesi dopo la prima al Festival, pazzesco: ma meno male che qualcuno ci ha pensato...), c'è chi lo trovò estetizzante: a noi, però, ha emozionato. E non tanto per l'indiscutibile, e coltissima, cinefilia; ma per quello sguardo dal basso, ad altezza bambino: che è continua scoperta, desiderio di conoscenza, voglia di verità. L'unica fiaba che nessuno vuole mai raccontarci.