Donbass, paradossi e follie di un Paese che brucia
È uno di quei gioielli chiusi dentro a una cassaforte di cui si è persa la combinazione: uno dei tanti film invisibili che, in una stagione lunga, a volte esaltante, altre molto meno, rischiamo di perdere, di sacrificare sull'altare del caos distributivo, dell'invasione massiccia dei blockbuster, del cinema commerciale a ogni costo. Ecco, «Donbass», in questo senso, è un film da (fare) vedere: e non solo perché è la prova più recente di un grande maestro - Sergei Loznitsa -, che a Parma fece il tutto esaurito con «Austerlitz» o perché ha vinto il premio come migliore regia a «Un certain regard», la sezione che ha inaugurato nel maggio scorso a Cannes. Ma perché è un film che non fa sconti, un affresco doloroso e grottesco sulla (sua) Ucraina in guerra, capace di tradurre in fiction alcuni video amatoriali visti su Internet ed episodi realmente accaduti durante il conflitto tra l'armata ucraina e i separatisti filo russi.
Un presente che brucia e che trova accoglienza e ospitalità stasera alle 21 al cinema Edison (che ha il merito di riportare alla luce oggetti preziosi che rischiano altrimenti di restare per sempre nel buio), nell'ambito della rassegna Panorama. Cuciti insieme 13 episodi, l'autore costruisce un film a forma circolare (splendidi sia il prologo, a macchina a mano, che l'epilogo - con inquadratura fissa -, entrambi ambientati nello stesso luogo con i medesimi personaggi) dove la Storia è costretta a guardarsi nello specchio deformato dell'inferno e la follia collettiva prevale sul giudizio politico. E tra morte, miseria e corruzione, «Donbass», decostruito il linguaggio e lo stile del reportage televisivo, dà forza al paradosso, riflettendo, in modo non convenzionale, sulla verità e sul ruolo etico delle immagini. E sul modo in cui esse vengono manipolate dalla propaganda, in un mondo in cui anche la realtà e le sue vittime sono, prima o dopo, al servizio di un copione.