Rocketman, confessioni di un gigante del pop
«Sono drogato, alcolizzato, bulimico e malato di shopping».
Comincia così e comincia bene, con la nota giusta, il biopic-confessione dedicato a Elton John, in cui il cantante (o, se preferite, il suo alter ego cinematografico) vuota il sacco subito, perché non ci siano fraintendimenti. Dichiarandosi, davanti al pubblico pagante (e giudicante), colpevole: sono questo, prendere o lasciare. Ma aggiungendo: fidatevi, posso cambiare.
Omaggio coloratissimo e divertente a un gigante del pop che continuava a stupire per non dovere essere mai se stesso, nascondendosi dietro ad abiti sempre più folli e a occhiali sempre più grandi, il film di Dexter Fletcher (il regista che ha portato a termine «Bohemian Rhapsody» dopo il licenziamento di Bryan Singer...) racconta vertiginosi picchi e clamorose cadute di sir Elton, al secolo Reginald Kenneth Dwight, scandendo le tappe della sua vita - proprio nei giorni in cui la pop star è impegnata nel tour d'addio - a suon di (famosissime) canzoni.
Dagli inizi da bimbo prodigio del pianoforte al debutto live al Trobadour (dove suonando «Crocodile Rock», in una sequenza molto riuscita, levita in aria insieme al pubblico), dai dischi d'oro e ai concerti sold out, agli stupefacenti, agli eccessi, ai mille capricci.
Siamo (a differenza dell'amatissimo film sui Queen, da cui questo resta come concept distante, ma di cui mira a ripetere le gesta al botteghino) in pieno e conclamato musical, genere da cui «Rocketman» prende (oltre ai numeri di ballo) i lustrini e la magia: invenzioni e spericolati cambi di tono scongiurano che la celebrazione in vita appaia scontata, ma a fare la differenza è proprio quell'idea iniziale, quella cornice che trasforma il film in una lunga seduta di terapia di gruppo, percorso interiore assai esteriorizzato che permette al cantante (finalmente) di ritrovarsi.
Il difficile rapporto con un padre che non lo ama, il successo quasi immediato, la solitudine del genio: Fletcher applaude l’artista che illuminò con la sua musica sgargiante un’epoca opaca, ma non risparmia nulla alle debolezze dell’uomo, genio fragile che dovette imparare a perdonare tutti, se stesso compreso. E un cambio d’abito dopo l’altro - complice l'interpretazione monstre di Taron Egerton, che oltre a quintali di personalità ci mette la voce (canta proprio lui, limitandosi solo a fingere di suonare il piano) - racconta la personale resurrezione del mito Elton John, concedendo al film il lusso di momenti di pura energia nella rievocazione di un passato che assume le tonalità anti realistiche della favola. Che stavolta include l’happy end.