Gli infedeli: i nuovi mostri non mordono
Uomini al di sotto di ogni sospetto, donne sull'orlo di una crisi di nervi: e un cinema di mostri e nuovi mostri (che ne generano altri e altri ancora senza soluzione di continuità) dove a un abbozzo di risata triste resta impigliata - come l'imbarazzo degli spinaci tra i denti - un che di cattiveria, il fiele, vanaglorioso, del veleno. Il toscano Mordini, alla prima commedia (terreno minato dopo gli alti e bassi di «Acciaio», «Pericle il nero» e «Il testimone invisibile») gira il remake (riveduto e corretto) di un brutto film francese con Dujardin (i cui diritti sono stati acquistati da Scamarcio) cercando però di allontanarsi dal maschile vs femminile alla Brizzi e dai manuali d'amore alla Veronesi, guardando più ambiziosamente al cinema di costume di una volta, sempre a episodi, ma molto anni Sessanta e un po' pure Settanta, carognetta e assai poco moralista. Ma divertente, a differenza di questo «Gli infedeli» che sì rifugge la gag facilona dell'originale transalpino, ma mica inventa nulla di nuovo né, nell'evitare l'ordinarietà della battuta pronta del prodotto medio, costruisce un'alternativa più narrativamente e sintatticamente elaborata o suggestiva. Dal marito che confessa il tradimento e cerca di salvare capra e cavoli con una tisana a quello che, a forza di corna, fa uscire pazza (e non solo per modo di dire) la moglie: bugiardi, ossessionati, anonimi nelle loro piccolezze, autoassolutori e narcisisti, gli uomini di Mordini sono innamorati, anche quando più miserabili e patetici, solo di se stessi. Lo spaccato è senza sconti e lascia un retrogusto amaro, un disagio algido, come una barzelletta raccontata male di cui non ci si ricorda più il finale. Si ride poco e per qualcuno è pure un bene: perché la vita è così, prevale lo squallore, il grottesco. Ma il film, che gioca sulle debolezze (proprie e altrui) cercando di scartare lo stereotipo, rinnegando consapevolmente le sue stesse origini e la propria «identità di genere», manca, nonostante l'impegno degli attori (su tutti Scamarcio e Mastandrea), di vero mordente, di creatività, di una perfidia che non lo sintonizzi solo con un presente uguale a ieri e a sempre, ma ne faccia l'emblema di paranoie ben riposte, di livori, manie e prepotenze mai davvero disinnescate.