Fai bei sogni: Bellocchio, Belfagor e il ballo della vita, eterno salto nel vuoto

C'è l'odore di case troppo uguali e troppo vuote in <Fai bei sogni>, un'assenza (<più acuta presenza>...) che è compagna invisibile di giochi e di vita, ombra intangibile eppure maledettamente reale, ossessiva, condizionante: come un personaggio immaginario, come un Belfagor a cui chiedere aiuto per scacciare altri spettri, altri traumi e fantasmi. Là dove - nel dolore indicibile e non detto - il <se> è il marchio dei falliti e per andare avanti bisogna aggrapparsi ai <nonostante>. E la vita è pur sempre la vita: un eterno salto nel vuoto.

E' un film toccante quello con cui Marco Bellocchio ha tradotto per immagini il romanzo autobiografico e amatissimo (uno dei più grandi sucessi editoriali degli ultimi anni) di Massimo Gramellini (lo stesso che ci dà il <Buongiorno> su <La stampa>); una storia – quella di un bambino che perde la madre quando ha appena 9 anni e scopre solo da adulto come è morta – in cui il regista piacentino trova, nonostante il suo mondo (anche poetico) e quello di Gramellini siano apparentemente distanti, tracce nitide e appigli chiari di alcuni dei temi cardine del suo cinema <ribelle>: la morte come recita borghese, ad esempio, ma anche l'ipocrisia delle dinamiche familiari e la negazione sistematica della verità, che è invece è la chiave (e la ragione ultima) della rinascita.

Girato anche nei dintorni di Parma (a Monte delle Vigne, vicino a Ozzano, dove è stata ambientata la sequenza, bellissima, del ballo) e co-prodotto da un'azienda di casa nostra, la Pizzarotti, <Fai bei sogni> è la complessa ed emozionante elaborazione del lutto di un'Italia che cambia: Modugno, il Toro da scudetto, la Raffa a Canzonissima... Tra stratagemmi per arredare il vuoto e il campo minato dei ricordi: che basta una vecchia scatola di fiammiferi per accendere il rogo, per scatenare l'incendio. Richiamata costantemente, nelle varie fasi della vita del protagonista (interpretato da Valerio Mastandrea, che lavora di sottrazione, e si confronta con Berenice Bejo, che recita in italiano), la morte senza un perché della madre (che ritrova ovunque, in una finestra aperta, nel cadavere di una donna uccisa dalla follia della guerra dei Balcani come pure, inconsapevolmente, nel tuffo perfetto di Dibiasi), Bellocchio sparge sin troppi simboli nell'alternarsi continuo del passato e del presente affidandosi anche a una fotografia (dell'altrove più ispirato Ciprì) a tratti di matrice un po' televisiva e a uno stile che avremmo voluto più personale: ma il film sa emozionare, tocca corde segrete, porta il privato al pubblico, condivide un sentimento, lo spoglia e lo rende comune. Facendoci partecipe di una ricerca che è di uno e di tutti.