Maledetta primavera, l'avventura di crescere tra paura e desiderio
Ha l'impaccio di giorni strani e la malinconia di quelli perduti, «Maledetta primavera», romanzo di formazione a tempo di lambada in quei fine anni '80 un po' sbiaditi, dove crescere resta un'avventura, tra disagio e desiderio, periferia e nuovi inizi. Debutto semiautobiografico nella fiction della documentarista (è quella del biopic sulla Ferragni) Elisa Amoruso (che dopo i titoli di coda fa scorrere i super 8 della sua famiglia, a cui l'opera prima è dedicata), un film piccolo e complice che lavora sulla potenza (e sulla trasfigurazione) del ricordo, nel solco di un «what if» che più che risposte cerca lo sguardo d'allora, gli occhi liberi da sovrastrutture di chi non ha ancora fatto i conti con i propri sogni né con la propria, solo accennata, ancora tutta da costruire, identità. Nell'educazione sentimentale di Nina, ragazzina -strappata dal suo quartiere bon ton da una madre che non ci sta più dentro e da un padre simpatico e inaffidabile che ha fatto dell'arte di arrangiarsi una ragione di vita - che si scopre attratta da Sirley, una bellissima e ribelle compagna di scuola della Guyana francese, riecheggiano certe atmosfere minimali di un cinema sensibile e pre-adolescenziale («Magari» della Elkann, ma anche la Sciamma), vaghe tracce del naturalismo della Rohrwacher, il mood, molto riconoscibile, di Virzì: la regista paga il prezzo dell'esordio non riuscendo a evitare le trappole dei (non pochi) cliché (il luna park, il bagno in mare, la famiglia che canta in auto...), ma sa sublimare l'incontro tra due modi differenti di essere sole, l'abbraccio tenero ancora prima che sensuale tra due ragazzine «straniere» in un mondo in cui non si riconoscono. Palazzoni e palazzacci, la Dea colore amaranto, le sigarette all'intervallo, le festine delle medie, I like Chopin, obbligo o verità: l'Amoruso parte da quello che conosce meglio, dà un peso e una forma a una memoria emotiva, sentimentale, provando ad avventurarsi fuori dai confini del già visto grazie al personaggio di Sirley, che ha una sua libertà rivoluzionaria e dirompente, l'esotismo (e l'erotismo) di un momento sospeso e magico. Quello che contribuiscono a rendere nitido le convincenti prove degli interpreti: a fuoco gli adulti (Micaela Ramazzotti, costretta a trovare nuove sfumature di un ruolo che è sempre quello, ma soprattutto Giampaolo Morelli, molto in palla), scelte bene, in modo non banale - anche fisicamente - le ragazzine.