Richard Jewell: il cinema morale di Clint, patriarca dalla parte dei giusti
Non so voi, ma io credo di avere bisogno del cinema morale di Clint Eastwood. Della sua rettitudine, della sua indignazione mai urlata, mai sovraesposta. Eppure lucida, ostinata. Uno che va per i 90 e non lo smuovi nemmeno con le cannonate. Che contro il sistema Golia non manda re Davide, ma un tipo goffo e obeso, un povero Cristo che sogna la divisa, uno sfigato tra mille che ne azzecca poche e vive ancora con mammà (Kathy Bates, candidata all'Oscar), ma non smette di credere e di riporre fiducia (e qui sì che diventa <bellissimo>) nelle stesse istituzioni che lo vorrebbero vedere friggere su una sedia elettrica. Ultimo capitolo della tetralogia che il patriarca Clint ha dedicato al tema dell'eroe e del coraggio (dopo <American sniper>, <Sully> e il passo falso <Ore 15:17>), con <Richard Jewell> Eastwood appone la sua firma in calce all'ennesima, non scontata, riflessione sull'America contemporanea (e sulle sue contraddizioni), lanciando il suo personalissimo <J'accuse> (quasi un contraltare di quello di Polanski) contro la macchina del fango. Messi sotto accusa media e Fbi, rei di giocare sporco con le vite altrui (<da dove vengo io quando il governo dice che uno è colpevole vuol dire che lo hanno incastrato>), il regista denuncia la mancanza di integrità del potere e di certa stampa, rievocando, a basso voltaggio, l'incredibile storia vera di Richard Jewell (interpretato da Paul Walter Hauser, che ne ricalca con schiettezza l'anonima ingenuità), innocuo e zelante addetto alla sicurezza durante le Olimpiadi di Atlanta del '96, il cui intervento limitò di molto i danni di un vile attentato capace di provocare due morti e oltre 100 feriti. Per tutti è un eroe, ma tre giorni dopo – e per tre interminabili mesi - viene considerato, senza uno straccio di prova, l'indiziato numero uno...
Là dove piangono i giusti e l'imperfezione, la fragilità, la normalità di chi non ce l'ha (ancora) fatta, rende cittadini al di sotto di ogni sospetto, il film civile di Eastwood (che inserisce tra le righe anche un'intervista tv in cui appare il vero Jewell) dà alle fiamme il folle abbaglio di chi infama (come in <Sully>) i suoi stessi salvatori: senza rendersi conto (a differenza del vecchio Clint) che l'unica a meritarsi una presunzione di colpevolezza è una società ammalata di protagonismo che crea i suoi eroi solo per distruggerli.
Ore 15:17: sul treno della vita Clint chiude la trilogia dell'eroe
C'è un'idea folle e coraggiosa in questo film, che è anche, tra i non pochi difetti, la cosa più riuscita, la scommessa vinta, il marchio di fabbrica della nuova prova di un autore-patriarca che, a 87 anni compiuti, sembra quasi dirci: <Guardate, non ho barato, non mento, non faccio finta>. Un'idea, che in questi tempi fasulli e taroccati, corrotti da bufale e fake news, mette i brividi: usare come interpreti principali i veri (e normalissimi) protagonisti della storia, fargli rivivere e replicare sullo schermo (a loro che sono tutto tranne che attori) le proprie gesta, il loro vissuto. A costo di esaltarne l'assoluta, banalissima, normalità, i tanti, piccoli o maldestri, fallimenti, la comune mediocrità. Protesi tutto il film verso quel momento, unico e irripetibile, in cui potere finalmente fare la differenza, trovare un proprio posto e un proprio scopo, essere all'altezza delle proprie aspirazioni. Come se tutto il resto, gli sbagli e i sorrisi, le delusioni e le rivincite, avesse un senso e fosse propedeutico solo per quell'istante, per quella manciata di, interminabili, secondi.
Rilegge ancora la storia più recente, inseguendo senza paura la scelta etica della verità, Clint Eastwood che con <Ore 15:17-Attacco al treno> chiude la sua trilogia dell'eroe (iniziata con <American sniper e proseguita con <Sully>), celebrando, nell'epoca dell'inerzia e della paura, il dovere di agire, quel <bisogna fare qualcosa> che più che a Trump appartiene alla sua stessa filosofia di cinema.
A mettersi in gioco, rischiando la vita e salvandone molte altre, questa volta sono Spencer, Alek e Anthony, tre amici da sempre che, alla loro prima vacanza in Europa, si ritrovano su un treno diretto a Parigi durante un attacco terroristico. Trasformandosi, nel momento del pericolo più estremo, nello strumento del destino (e del Signore): perché <è solo dando che si riceve>...
Dio, patria, esercito, famiglia: camminando sulle tracce imperscrutabili del caso (o della prova, forse, di un disegno superiore), il vecchio Clint inframmezza di flashback la parabola dei suoi eroi <ordinari>, abbondando però in retorica e rischiando di fare deragliare il film durante il viaggio in Europa (specie nella tappa italiana), quando la zavorra di stereotipi turistici che non aggiungono nulla all'economia della storia sembra portare regista e spettatori fuori dai binari. L'elogio dell'uomo comune capace di imprese straordinarie è gestito con assai meno equilibrio rispetto alle ultime prove dell'iconico regista e se la parte ambientata sul treno funziona molto bene altre volte <Ore 15:17> si incarta, si ingolfa, perde in tensione, preferendo soluzioni più dirette (ma anche più elementari) a una maggiore astrazione. Peccato, perché Eastwood, orgogliosamente dalla parte di chi non resta seduto a guardare, ci crede ancora tanto: ma forse stavolta siamo noi a crederci un po' meno.
I 10 film più belli del 2015
Ma vogliamo davvero provarci? Sempre difficile fare dei bilanci: però una classifica dei migliori film 2015 è d'obbligo... Ecco i nostri 10: con qualche rimpianto.
10. Il racconto dei racconti
Favole antiche per denunciare ossessioni contemporanee: un film "impossibile" è sottovalutato. Forse per questo gli vogliamo ancora bene.
9. The walk
Questo proprio non ve lo siete filati: peccato, perché ci ha insegnato come un'impresa assurda può diventare un'opera d'arte. E il 3D per una volta era degno di quel nome.
8. Timbuktu
Per quella partita a pallone senza palla: atto sublime di resistenza al terrore. Il film che spiegava l'Isis molto prima del Bataclan.
7. 45 anni
Lo spettro dell'altra abita in soffitta: chiuso in un sentimento ibernato per troppi anni. Grande film sull'ipocrisia della coppia.
6. Whiplash
Il dovere di essere i migliori la' dove l'arte è fatica, sudore, sangue. Con un cattivo ben piu' pauroso di quello di Star Wars
5. Mustang
Quando "Piccole donne" incontra "Il giardino delle vergini suicide": una delle sorprese dell'anno. Un film per capire cos'è davvero la Turchia.
4. American sniper
Il vecchio Clint ha ancora una gran mira: il suo cecchino è un personaggio enorme dei nostri tempi, nel bene e nel male.
3. Inside out
Imprescindibile. La Pixar fa sul serio ed entra dentro la nostra testa: un film adulto in cui ci si può commuovere anche per l'addio a un amico immaginario.
2. Forza maggiore
Una coppia sepolta sotto la valanga del non detto: mentre la crepa della loro quotidianità diventa voragine. Grande.
1. Birdman
Per il coraggio, l'audacia, quel recitare "live" tra palco e realtà: dove è più difficile essere (super) eroi.
I 10 film più belli di questa stagione. E perché
Ok, la stagione cinematografica 2014-2015 è andata. Come? Abbastanza bene, grazie. Non so voi, ma io di film belli quest'anno ne ho visti parecchi: tanto che non è facile stilare una classifica dei primi dieci (con relativi "dischi caldi"). Ci provo, pensando a quelli che, per un motivo o per l'altro, ho amato di più: con la certezza che, come tutte le classifiche, oltre che di emozione e ragionamento è frutto del sentimento del momento, di una giornata afosa e di non c'è neanche una coca in frigo (che è meglio così perché tanto fa ingrassare...)
1. MOMMY
Perché lo schermo è stretto ma ci sta dentro (energia, violenza, amore...) tutto. Anche se a volte conta di più quello che sta fuori.
2. BOYHOOD
Perchè sembra non succeda niente e invece succedde tutto. E il tempo è un attimo, un battito di ciglia: anche se ci sei stato dietro (e dentro) 12 anni.
3. FORZA MAGGIORE
Perché ti seppellisce sotto una valanga e non ti dà nemmeno una vanga con cui scavare. E perché di film sulla coppia così fondi se ne vedono pochi.
4. BIRDMAN
Perché è audace, sotto tutti i punti di vista: molto più di una passeggiata in mutande in pieno centro.
5. AMERICAN SNIPER
Perché il vecchio pistolero Clint sa sempre fare centro e il suo cecchino è un personaggio enorme quanto controverso.
6. DUE GIORNI, UNA NOTTE
Perché dietro la domanda della Cotillard c'è il senso stesso della crisi che viviamo. E del riscatto dell'etica.
7. FOXCATCHER
Perché è un film nero e sfortunato, difficile ma denso: un dramma fisico e perdente.
8. WHIPLASH
Perché conosce l'inferno del talento, perchè è perfido e sa cos'è il ritmo. E perché l'ultima sequenza strappa l'applauso a scena aperta.
9. IL RACCONTO DEI RACCONTI
Perché ci vogliono le palle e non parlo di quelle da tennis. E perché la favola a volte racconta meglio della realtà le ossessioni contemporanee.
10. INTERSTELLAR
Perché c'è di meglio: ma questo, oltre che un film sulla ricerca, è un film sull'assenza, sulla mancanza. E io so cosa vuol dire.
Tra i dischi caldi, ossia tra quei film che meriterrebero di stare anche loro nei 10, nomino in ordine sparso questi: Sils Maria, L'amore bugiardo, Lo sciacallo, Vizio di forma, Il regno d'inverno, Leviathan, Timbuktu, Mia madre, I nostri ragazzi.
American sniper: l'infallibile mira del pistolero Clint
<Sta a te decidere>.
La solitudine del cecchino prima di premere il grilletto. Vita o morte, senza rimpianti, in un'esistenza appesa al cielo (e a un filo): sparare o non sparare, questo è il dilemma. Che un giorno ti ritrovi 170 di pressione, una taglia da 180 mila dollari sulla testa e un soprannome guadagnato sul campo, colpo su colpo: <Leggenda>. Ma poi scatti anche solo al rumore di un tosarerba... Che mica lo sanno, là fuori, che non è facile per niente la vita del cane pastore: tutti i giorni a vegliare sul gregge dalla ferocia dei lupi, tutti i giorni a proteggere le <pecorelle> smarrite. Storia (vera) dell'uomo che voleva salvare tutti ma perse se stesso: solo l'ultimo pistolero, Clint Eastwood, gigante del cinema che amiamo, poteva raccontare la parabola, amara e antiretorica, del tiratore scelto Chris Kyle. E sviscerare - in un bellissimo film dove non conta tanto quello che gli uomini fanno in guerra ma piuttosto quello che la guerra fa agli uomini - contraddizioni ed etica profonda del mestiere delle armi.
Texano dagli occhi di giaccio, Kyle si arruola nei Seals e viene spedito in Iraq: dove diventa l'arma letale della missione a stelle e strisce. Cecchino dalla mira infallibile, uccide 160 persone, tra cui donne e bambini (usati come <bombe umane>), salvando però la vita a migliaia di commilitoni: ma ogni volta tornare a casa è più dura...
In una tormenta di sabbia che confonde le ragioni e i torti, Eastwood in <American sniper> sposa il punto di vista di un protagonista di cui coglie la fede come anche la fragilità, e fa di un figlio di un'America rurale tutta chiesa e patria, dove si diventa uomini andando a caccia e tenendo le chiappe strette su un cavallo da rodeo, una versione deformata, oltre che virile, mortale e fisicata, di quel giovane Holden che voleva prendere al volo i ragazzini che stavano per cadere nel dirupo. E nell'inconsapevole tentazione di Kyle di sostituirsi a Dio, di essere l'angelo custode (inevitabilmente imperfetto) degli all american boys, il vecchio Clint (84 e non sentirli) parte, riavvolge e riparte, alternando le sequenze di combattimento (splendida quella del primo confronto tra cecchini, dove tiene aperti contemporaneamente tre <fronti>, vera e propria lezione di montaggio e di racconto cinematografico) a quelle familiari, girando un film essenziale ed emozionante in cui, con la necessaria complicità di Bradley Cooper (che, messi su 20 chili di muscoli, è stato il primo a credere nell'operazione opzionando i diritti dell'autobiografia di Kyle), riflette sul rapporto invisibile che lega (per sempre) chi sta da questa e dall'altra parte del mirino, tra chi guarda e chi è (senza saperlo) guardato, là dove non è difficile scorgere nel cannocchiale di un fucile la metafora dell'obiettivo (che <spara> all'immagine eternandola) di una macchina da presa: perché l'occhio uccide ancor prima del grilletto.