2021, Recensione Filiberto Molossi 2021, Recensione Filiberto Molossi

Proxima, Eva Green mamma astronauta

È tutto proteso verso quel momento, tende sempre e solo a quel punto: la partenza. Ma sa benissimo che la parte difficile è un'altra, il ritorno: «Quando vedi che le persone stanno bene anche senza di te». È una space opera con i piedi per terra, la preparazione di un viaggio esaltante ma allo stesso tempo doloroso, «Proxima»: e, più di tutto, un film antieroico, ma concreto e fisico (come un abbraccio: o come la parete di vetro che lo impedisce), sul distacco e sulla separazione. Sì, perché quelli che mandiamo lassù, per aspera ad astra, non sono solo «uomini veri»: ma donne, madri. Costrette a imparare ad accettare di essere imperfette, umane: ma pur sempre incapaci di dimenticare che una promessa è una promessa. E' un cinema molto femminile (non a caso è la sceneggiatrice di «Mustang») quello della francese Alice Winocour, pieno di increspate sensibilità, che accoglie un punto di vista inedito in un genere (quello degli astronauti) qui declinato al realismo, a suggestioni (ed emozioni) - forse anche perché è stato girato in una vera base spaziale - non artefatte, ma naturali, «quotidiane». La storia di Sarah (Eva Green, l'ex dreamer lanciata da Bertolucci), che sin da bambina sognava lo spazio: ora ha la possibilità di partire per una missione internazionale, ma questo significherà non vedere più per diverso tempo la piccola Stella... Immerso in una luce fredda, puntellato dalle note di Sakamoto, «Proxima» fa del «partire è un po' morire» l'incontro tra il molto grande - l'immensità dello spazio profondo che attende la protagonista - e l'universalmente piccolo - l'intimissima dolcezza di una donna che lava i capelli a sua figlia nella vasca da bagno -, svuotando l'epica per mostrare piuttosto la vulnerabilità dei suoi personaggi, tra inevitabile guerra dei sessi, senso di colpa e comprensione. L'addestramento durissimo, la simulazione, la preparazione di chi deve abituarsi a vivere al contrario per andare là dove le stagioni non esistono e le lacrime non scendono più. E il sole tramonta 16 volte al giorno: e chissà se qualcuno gli racconta una storia prima di addormentarsi. Dove nemmeno il peso ha più un significato: ma gli affetti e i legami ancora sì.

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2018, Festival, Recensione Filiberto Molossi 2018, Festival, Recensione Filiberto Molossi

Quello che non so di lei: realtà e finzione secondo Polanski

Realtà e finzione, i fantasmi della mente, il gioco dell'identità, la seduzione, pulsioni e repulsioni: ci sono tutte le ossessioni (o comunque un discreto campionario) di Roman Polanski in <Quello che non so di lei>, il film con cui l'84enne maestro lo scorso maggio aveva chiuso il Festival di Cannes.

Meglio quando si ispira a <Eva contro Eva>, meno quando sembra <Misery non deve morire>, la pellicola (che in originale suonava molto più provocatoriamente <D'après une histoire vraie>, <Da una storia vera>) racconta di una famosa scrittrice (Emmanuelle Seigner, moglie e musa del regista) che, archiviato un altro grande successo, fatica a iniziare il nuovo romanzo. A ispirarla sarà Elle (l'ex dreamer Eva Green, con rossetto fatale), una giovane donna che afferma di essere la sua più grande fan...

Elegante, raffinato, anche un po' improbabile (nel modo in cui la protagonista accetta di fidarsi senza farsi troppe domande della nuova <amica>), il thriller che Polanski ha scritto con Assayas si insinua nelle pieghe del processo creativo, specchiandosi nella <maledizione> di scrivere, in un confronto di reciproca attrazione dove non sempre – in un mondo in cui <la gente crede più alla menzogna che alla verità> - è facile stabilire chi si appropria della vita di chi. Ma quella che scorre sullo schermo è realtà, sogno o solo un altro romanzo? A deciderlo tocca allo spettatore: che si lascia scivolare in un film intrigante ma già molto visto, un po' scoperto nelle sue tensioni.

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Cannes 70: il pagellone

Ecco, a freddo, il nostro pagellone della settantesima edizione del Festival di Cannes, che si è appena concluso. Film, divi e di tutto un po': promossi e bocciati della Croisette 2017.

NICOLE KIDMAN    9

Già data per morta più di una volta risorge in Costa Azzurra più bella e bionda che mai: diva assoluta della rassegna, "sbotulinizzata" e fresca come una rosa, è presente in 4 film e in tutti fa sempre un'ottima figura. Alla fine, le devono inventare un premio apposta per ringraziarla in qualche modo.

GLI ITALIANI          7

Decisamente meglio del previsto: fuori dal concorso, raccolgono premi con A ciambra e Fortunata e ulteriori consensi con Sicilian ghost story, Cuori puri e L'intrusa. L'unica delusione arriva da Dopo la guerra.

IL PALMARES         7-

Non male, ma si poteva fare pure meglio: The square è un davvero buon film, concepito con uno sguardo originale (anche se dello stesso autore preferiamo Forza maggiore), ma forse Loveless avrebbe meritato qualcosa di più. E il film di Loznitsa una citazione.

LE DONNE REGISTE 7,5

Se ne è parlato tanto: poche donne registe, poche donne al potere nel cinema. Le quote rose si fanno largo anche qui. E in un'edizione venata di femminismo, la Coppola , la Ramsay e la Kawase, l'altra metà del cielo in gara,  hanno fatto vedere cose buone se non ottime.

JOAQUIN PHOENIX 8

Col martello in mano nel sorprendente You were never really here è subito cult. Poi quando non si accorge che hanno premiato lui (sì, proprio te Joaquin) e resta un minuto seduto tra il sorpreso e l'esterrefatto è addirittura apoteosi.

MARINE VACTH 7,5

Un collega dice che d'accordo essere belle, ma che lei è oltre: sì insomma, non ci sarebbe gara. Effettivamente, nell'ultimo Ozon, nuda più che può, è folgorante e sexy in modo esagerato. Peccato che il film funzioni fino a lì.

IL CASO NETFLIX 5

La polemica aveva già stancato prima di cominciare: mettono due film del colosso Web in concorso, poi si pentono, poi ancora dicono che non li premieranno. Molto rumore per nulla: di Okja si poteva farne a meno, The Meyerowitz stories è buono ma già visto.

DIANE KRUGER 7,5

Al primo film tedesco (lei che, tedesca di nascita, in Germania non aveva mai girato) è subito Palma. La sua lady vendetta nel film di Akin è sofferta e struccata a sufficienza per rappresentare la prova della maturità.

I FRATELLI SAFDIE 5,5

Promossi come i nuovi geni del cinema indipendente americano, in realtà non è che combinino moltissimo con Good time: grande inizio e ottimo finale. Ma in mezzo?

L'AMBIENTE 5

Già l'ansia per gli attentati e gli allarmi bomba non metteva di buon umore: che poi ogni film, nessuno escluso, venisse accolto con una grossa dose di insofferenza difficilmente poteva aiutare. Va beh, almeno non è piovuto quasi mai.

120 BATTITI AL MINUTO 7+

Era il preferito dai francesi ed effettivamente è uno dei film più emozionanti del concorso: dedicata all'esperienza di Act Up, movimento di sensibilizzazione sull'Aids nei primi anni '90, ha le caratteristiche per diventra un film manifesto.

RODIN 5-

Già dalla prima inquadratura sembra uno sceneggiato di mamma Rai in prime time, poi andando avanti non migliora di molto: memorabile solo il barbone di Vincent Lindon. Lo stesso che viene agli spettatori dopo dueore interminabili di film.

LA PREVALENZA DEL GORILLA 8,5

La performance dell'attore che si finge gorilla nella cena di gala in The Square, è uno dei momenti più forti dell'intero Festival. Nello stesso film poi c'è chi lo scimmione se lo tiene in casa, invece del cane o del gatto: Ferreri sorride da lassù.

IL TE' DI POLANSKI 7,5

In D'après une histoire vraie, non eccelso thriller sul doppio di Polanki, si beve però il Mariage Frères, tè parigino noto ormai in tutto il mondo: ottima scelta. Quasi quanto il rossetto da batticuore di Eva Green.

I FANTASMI 5

Bene quelli siciliani, ma i fantasmi (della coscienza, del rimorso o della psiche) francesi, anche no: non convince la moglie che riappare dopo anni di Desplechin, ma neanche i doppi fasulli di Ozon e di Polanski.

ANDREY ZVYAGINTSEV 8

Non aiutato dal cognome impronunciabile, il regista russo però si conferma tra i grandi del panorama mondiale: dopo Leviathan, un'altra impietosa fotografia della Russia ( e della famiglia) moderna con Loveless.

IL 70° ANNIVERSARIO 4,5

Per il 60° avevano addirittura eretto una sala nuova, per il 70° si limitano a una rimpatriata tra vecchi amici. Poteva essere l'occasione per una grande festa, ma l'aria, già in partenza,  era piuttosto depressa.

JASMINE TRINCA 8

E' la cosa più bella di Fortunata di Sergio Castellitto: bravissima con le zeppe, la ricrescita nera sui capelli biondi, il trucco forte, nella parte di una novella Antigone sola contro il mondo convince tutti. Anche la giuria.

GLI ORIENTALI 5,5

Ritornati in forze in concorso (erano tre) non raccolgono nulla, se non qualche apprezzamento qua e là. Finezza e tecnica ci sono: ma manca il colpo del ko.

ROBERT PATTINSON 7

Lo hanno detto tutti, all'unisono: finalmente una prova convincente dell'ex vampiro idolatrato dalle teenagers. Se Kristen Stewart si era già affrancata dalla saga che li ha resi famosi, lui mostra il meglio di sè nel ruolo dle criminale da strapazzo di Good times.

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