Il lavoro logora anche chi ce l'ha: è La legge del mercato
Chi lavora è perduto: il posto fisso? Logora anche chi ce l'ha. E, stretta al collo la cravatta, è costretto a trasformarsi nell'involontario kapò di un'epoca precaria e orrenda, tormentato persecutore di chi conosce (e vive) la sua stessa miseria. Ladri di buoni sconto ma anche di speranze nell'amaro «La legge del mercato», gran bel film, freddo ma inesorabile, sulla vita al tempo della crisi con cui il francese Stéphane Brizé denuncia la brutalità (a volte paradossale) dei meccanismi del mondo del lavoro. Girato in appena 21 giorni, con un piccolo budget e un taglio alla Dardenne, il film, dove attori veri recitano accanto a non professionisti, si muove nella zona franca del cinema politico e sociale (quello «ad altezza d'uomo») per raccontare, in modo asciutto, il dramma di Thierry, disoccupato 51enne in cerca di lavoro.
La cassiera che aggiunge di nascosto i punti a chi non ne ha abbastanza, il pensionato che si mette in tasca la bistecca, l'impiegata che fa la cresta sui coupon: e poi le banche e i loro prestiti usurai, i colloqui di lavoro su skype, le valutazioni umilianti (cerchi un impiego? Meglio se ti agganci l'ultimo bottone della camicia...) a cui è sottoposto chi cerca, faticosamente, di rimettersi in gioco. Scarno e senza fronzoli, «La legge del mercato» fa largo uso del piano sequenza e della macchina a mano rinunciando quasi completamente alla musica per stabilire con chi guarda un'empatia priva di trucchi, dove la verità emerga anche nel suo lato più tragicomico e meschino. Brizé mette in scena una guerra tra poveri auspicando un risveglio etico, per poi cucire addosso il film a un meraviglioso Vincent Lindon (miglior attore del Festival di Cannes) che coglie anche con un silenzio l'imbarazzo e lo sdegno per il peggiore dei mondi possibili.