Se la strada potesse parlare: la dolcezza di Jenkins contro le ingiustizie
E' un film girato con grande delicatezza e movimenti di macchina che paiono carezze, <Se la strada potesse parlare>, il melò afroamericano con sottotesto politico che riporta al cinema Barry Jenkins, dopo l'Oscar vinto (a sorpresa) con <Moonlight>. Prodotto dalla Plan B di Brad Pitt e candidato a tre statuette, è la storia d'amore nella Harlem degli anni '70 tra la 19enne Tish e il fidanzato Fonny: lei aspetta un bambino, ma quando se ne accorge lui è già dietro le sbarre per un reato che non ha mai commesso... Nella società dei bianchi, dove nessuno (o quasi) ti affitta una casa se hai il colore sbagliato e <la partita è truccata>, Jenkins, inframmezzato il film di foto in bianco e nero, lavora benissimo sul colore, che usa in senso antirealistico, seguendo una precisa scelta estetica, antitetica eppure conforme, complementare, a ciò che racconta. E' il mood avvolgente di un film che, seppure non particolarmente appassionante, ha dentro di sè una grande dolcezza, quasi un imbarazzo: e anche davanti all'ingiustizia, alla sciagura, è teso - come in una delle sequenze più suggestive, quella del parto nell'acqua- alla speranza, all'amore, alla vita.