Quel giorno tu sarai: tre atti, una Storia
Qualcuno ve lo doveva dire. Qualcuno ve lo doveva dire, prima o dopo, che questo film è bellissimo. E per fortuna, se Dio vuole, quel qualcuno sono io. Di tutti i film che vedrete quest'anno sfido a trovarne un altro che abbia un'apertura più potente e sconvolgente di quella di questo film: tre uomini, tre soldati, nell'antro del Male, nel buco più profondo della Storia. Non parlano: hanno paura, orrore, schifo. Gettano secchi di acqua sul pavimento, scrostano le pareti: cercano di lavare, di pulire, quello nessuno può davvero cancellare. Inizia così «Quel giorno tu sarai», il magnifico film dell’ungherese Mundruczó interamente costruito su soli tre piani-sequenza, tre movimenti che, ambientati in momenti storici e luoghi differenti, raccontano altrettante generazioni: una donna, sua figlia, il nipote della prima. Tre atti che sono anche tre concezioni diverse - eppure qui straordinariamente connesse, indissolubilmente legate - del pensiero cinematografico: una prima parte storica, praticamente muta, in un lager, una seconda, parlatissima, che è puro dramma da camera, una terza e ultima che sposa invece il romanzo di formazione e (s)corre, libera, in esterni. Da un campo di concentramento del '45 alla Berlino xenofoba ma non priva di speranza di oggi, la storia di una famiglia che sopravvive ai traumi di ciò che è stato: un film di clamoroso virtuosismo sull'identità (ebraica, certo, ma non solo), ma soprattutto sul senso del tempo e della memoria. Perché quello che è iniziato con un pianto a volte può finire con un bacio.