Madre! Delirio e vertigine del creare. E del distruggere
E' gonfio fino a scoppiare di allegorie, un incubo a occhi aperti malato, ansiogeno, metaforico e urlatissimo, il nuovo film di Darren Aronofsky, reduce da Venezia dove, pure essendo una delle principali attrazioni> ha raccolto più fischi che elogi, per poi però convincere la critica americana che, al di là di poche eccezioni, lo ha invece promosso e applaudito.
Una pellicola ambiziosa e disturbante, <Madre!>, che parte come un thriller claustrofobico alla Polanski e poi degenera in un horror visionario che riflette sull'atto stesso del creare: un libro, una villa, un figlio, una famiglia. O, <semplicemente>, il mondo.
Stridente e ambiguo, il film di Aronofsky - autore celebrato di <The wrestler> e <Il cigno nero> da sempre soggetto a clamorosi alti e bassi (ricordate <The fountain>? E <Noah>?) - racconta la storia di una giovane donna (Jennifer Lawrence, attuale compagna del regista: la scintilla è scoccata sul set) che divide la propria vita con uno scrittore in crisi, impegnata a ricostruire e prendersi cura della casa di lui, distrutta anni prima in un incendio. Un giorno però alla loro porta bussa una coppia che ha smarrito la strada...
Ossessivo e demoniaco, <Madre!> (impegnativo sin dal titolo, con quel punto esclamativo che piomba giù come un fulmine...) è un film febbrile (<l'ho scritto in appena cinque giorni – confessa l'autore – quando per gli altri ho impiegato anni>) ma sballato, dove con presunzione elefantiaca Aronofsky scomoda Bunuel ed Edgar Allan Poe partorendo poi il classico topolino.
Purezza dell'ispirazione, malata condivisione del successo (un sabba satanico), cannibalismo emotivo e relazionale: delirante e viscerale, claustrofobico e spiazzante, <Madre!> è una metafora coraggiosa ma squilibrata sulla creazione (e sulla fine...) dell'Universo e su quanto siamo stati capaci di corromperlo, sulla follia di un'umanità che distrugge consapevolmente e senza remore l'unica Terra (e l'unica madre) che ha. Posta l'asticella molto in alto, il film regala sequenze da capogiro (quella dell'omicidio, montata magnificamente) e ha il merito di togliere dalla naftalina e ributtare nella mischia un'inquietante (e ancora bellissima coi suoi 59 anni) Michelle Pfeiffer: ma l'aggiungere eccesso a eccesso, tra riferimenti biblici e vertigini letterarie, alla fine rischia di produrre solo un senso di repulsione.