Mektoub, my love: canto uno. L’epopea della gioventù
Non c'è un cinema, non in questo mondo almeno, così pieno di vita, energia contagiosa, sensualità, capacità di sedurre ed empatia come quello di Abdellatif Kechiche: toccato dalla luce, carnale e <politico>, coi cuori che battono a mille (fino al rischio di spezzarsi) nella stagione irripetibile di un tempo che non sembra potere finire mai. E che un giorno, invece, sarà perduto per sempre. Ha dentro la forza indomabile e inesauribile della giovinezza, <Mektoub, my love: canto uno>, il film, bellissimo già dal primo movimento, con cui il regista franco-tunisino celebra tous le garcons et les filles de mon age al ritmo della loro stessa, invincibile (ma solo apparente), spensieratezza, nel momento preciso in cui il destino (mektoub, appunto) incontra l'amore.
Vitalissimo ed entusiasmante, tumultuoso e affascinante, il film di Kechiche non racconta niente per raccontare tutto, seguendo il ritorno a casa per le vacanze estive (a Sete, nel Sud della Francia, dove era già ambientato <Cous cous>) di Amin, studente universitario e aspirante sceneggiatore segretamente innamorato di Ophelie che però, in attesa del ritorno del fidanzato soldato, si vede di nascosto con suo cugino Tony...
La musica, gli amici, il mare, la gelosia, la joie de vivre; e la macchina a mano, le inquadrature brulicanti, il linguaggio di corpi che occupano, invadono - sfrontati - lo schermo: Kechiche gira con scioccante naturalezza (frutto in realtà di un lungo lavoro preparatorio) un film sul desiderio e sulla crescita avvolgendo nella leggerezza della fine del secolo scorso (la vicenda si svolge nel '94) il suo cinema capace, come per magia, di ridurre, di azzerare, le distanze. E' un film a cui brillano gli occhi, girato a cuore aperto, di una bellezza di cui non ti annoi, <Mektoub, my love: canto uno>: un'epopea della gioventù ricca di rimandi cinefili (da culto quello su Aldo Maccione e la sua camminata) in cui il regista dilata le sequenze, abbandonandosi agli sguardi, alle risate, a quella stanchezza colma di promesse che abbraccia un ballo infinito. Una pellicola con cui Kechiche (che per riuscire a finire le riprese ha messo addirittura all'asta la Palma d'oro vinta con <La vita di Adele>) ha diviso la platea dell'ultima Mostra di Venezia: i detrattori lo hanno accusato di sessismo e ripetitività, ma <Mektoub>, in realtà, è un dirompente inno alla vita, un vibrante romanzo di formazione che non smetteresti mai di tenere per mano.