Recensione, 2021 Filiberto Molossi Recensione, 2021 Filiberto Molossi

House of Gucci, tra melò e soap: l'epopea di una royal family della moda

C’è in Ridley Scott una spavalderia trash, forse anche dettata dall’età (e dal prestigio di chi deve rendere conto al massimo al padreterno), che non so ancora, nemmeno dopo quasi tre ore di film, se più mi attira o mi respinge. Perché ci vuole un bel pelo per mettere insieme «La ragazza del maglione» di Pino Donaggio e «Faith» di George Michael, Pavarotti e Bruno Lauzi, la tragedia shakespeariana e la soap che nemmeno Dinasty, il glam degli inarrivabili negozi di lusso e le chiromanti chip da «Ok, il prezzo è giusto», il melò alla «Padrino» e gli avanzi del giorno prima. Pacchiano e incontinente, ma anche efficace e sfacciato, «House of Gucci» che tende all'opera ma strizza l'occhiolino all'operetta, evoca Lady Macbeth ma la fa ballare coi sosia del Bagaglino: una fiaba prima lovely e poi dark spericolata e sopra le righe dove la cronaca nera (e vera) diventa - con un'interpretazione a tratti funzionale a questa storia di amori, amorazzi, affari più o meno puliti, passerelle e passacarte, vendetta e morte - telenovela. Preceduto da polemiche a non finire, foto ricordo di influencer e gossip creati più o meno ad arte, il nuovo film dell'autore di «Blade runner» (sempre sia lodato) cavalca senza sella l'epopea di una royal family della moda, concentrandosi soprattutto sulla nascita (esaltante) e la fine (tragica) di una coppia. Quella formata da Maurizio Gucci, erede riluttante di un marchio che adesso vale quasi dieci miliardi all'anno (dati pre pandemia) fondato un secolo fa a Firenze, e da Patrizia Reggiani, esuberante e seducente figlia di un imprenditore dei trasporti. Osteggiata dalla famiglia di lui, l'unione però sembra invincibile: e l'intraprendenza di Patrizia permette a Maurizio («ha difficoltà con il parchimetro, come farà a dirigere Gucci?», si chiede lei) di scalare, tra uno sgambetto e l'altro, le gerarchie: fino a che... Macchiettistico, discontinuo, pasticciato, «House of Gucci» ha però il merito di cogliere l'edonismo, l'avidità, la voglia di emergere di anni che credevamo di esserci lasciati per sempre alle spalle. Scott esagera col cerone (tutti quei divi troppo acciaccati - da Al Pacino a Jeremy Irons - o completamente fuori parte, come Jared Leto), cuoce a fuoco lento la ribollita (che è buona ma non sempre facile da digerire), spara Verdi e «La Traviata» in una scena hot degna del «Postino suona sempre due volte»: e finisce per confezionare un film che è molto dentro o fuori, prendere o lasciare. Ma che ha dalla sua una fantastica Lady Gaga, che impersona con notevole spontaneità (e grinta da star) Patrizia Reggiani in Gucci, vera protagonista di un feuilleton di cui la cantante cinematograficamente lanciata da «A star is born» è l'indiscussa e ambiziosissima regina.

Read More
2019, Classifiche Filiberto Molossi 2019, Classifiche Filiberto Molossi

Nomination all'Oscar: ecco i magnifici 8

Rivelate le nomination all’Oscar: sono 8 le pellicole in lizza per il migior film. In un anno nel segno della musica e del black power, a guidare la fila sono però due film d’autore, uno di un regista messicano e l’altro di un greco, che hanno trionfato alla Mostra di Venezia. Ma scopriamo chi gioca per vincere l’Oscar più importante e quante nomination hanno portato a casa.

10 NOMINATION

LA FAVORITA

Non è un gioco di parole: “La favorita” rischia davvero di recitare la parte del grande favorito. Gran premio della giuria a Venezia, è una sarcastica e feroce riflessione sul potere, ambientata nel ‘700 ma ancora attualissima. Attrici da urlo e dietro la macchina da presa il regista più originale degli ultimi dieci anni.

ROMA

Roba da non crederci: si ripete la sfida di Venezia, dove Cuaron vinse il Leone d’oro proprio davanti a “La favorita”. Toccante ritratto familiare, girato in un bianco e nero intimista, è candidato anche come miglior film straniero. Il regista affida i suoi ricordi bambini alla tata: un amarcord affettuoso e riconoscente.

8 NOMINATION

BLACK PANTHER

Un kolossal Marvel in corsa per il miglior film? Si può fare. Forte di un enorme successo, ma pure di recensioni sperticate (soprattutto negli Usa), i supereroi in quota black power portano l’intrettenimento più spettacolare al tavolo dell’alta società. Può essere già contento così, ma non si escludono colpi di scena.

A STAR IS BORN

A mio parere un poco sopravvalutato, ma è piaciuto tanto tanto: i romantici di tutto il mondo fanno il tifo per lui, anche se le sue quotazioni (è uscito ridimensionato dai Golden Globes) sono leggermente in discesa. Appare scontata la vittoria di Lady Gaga per la miglior canzone, più dura il premio come migliore attrice.

VICE

Per capire gli ultimi 20 anni (e più) di storia americana basta guardare Christian Bale che si sciaqua la bocca col colluttorio: è già tutto lì. Bel taglio moderno e ironico per uno dei film più intelligenti e rivelatori del lotto dei papabili. Cinema politico e iconoclasta, che si toglie la polvere di dosso e i sassolini dalle scarpe.

6 NOMINATION

BLACKKKLANSMAN

Un grande ritorno: Spike Lee ritrova la vena giusta e gira una storia incredibilmente vera dove farsi gioco dei razzisti per poi però, amaramente, constatare che in America passano gli anni ma non cambia mai niente. Una commedia politica molto ben scritta con un forte sottofondo di rabbia e di denuncia.

5 NOMINATION

BOHEMIAN RHAPSODY

Arriva tra i film dell’anno sull’onda di un successo mondiale: il film più visto del 2018 in Italia va oltre l’omaggio ai Queen e celebra la parabola umana del divo Freddie. Ha molto per piacere anche se non tutto (specie in fase di scrittura) è da Oscar. Parte di rincorsa e si acconterebbe forse del premio al miglior attore. Who wants to live forever?

GREEN BOOK

Il vincitore dei Golden Globes forse si aspettava qualche candidatura in più: amato più dal pubblico che dai critici, è una sorta di A spasso con Daisy rovesciato, molto classico ma con la punteggiatura nei posti giusti. E E due grandi interpreti. Tra i molti litiganti, proverà ad essere quello che si imbuca al fotofinish.

Read More
Festival, 2018, Recensione Filiberto Molossi Festival, 2018, Recensione Filiberto Molossi

Fronte del palco: Lady Gaga, A star is born

Ci sono loro: che non è poco. Perché lei è una diva assoluta, una tipa da milioni di dischi, che per la prima volta si mostra al naturale, struccandosi persino l'anima, scoprendosi bellissima anche se non la è davvero, priva, finalmente, di quei quintali di accessori, di tinte, di costumi. E perché lui è quello di <Una notte da leoni>, ma anche di <American sniper> e de <Il lato positivo>, tre nomination all'Oscar, nonni italiani, una figlia con la super model Irina Shayk e il desiderio di mettersi in gioco, senza spocchia, anche come regista. E poi c'è la musica: e quella sì, conta. Fronte del palco, live, struggente come una ballata country oppure acclamata e cantata all'unisono come una hit del momento. La musica che è ovunque, che è dappertutto: partitura sentimentale con cui dare un senso allo sgualcito pentagramma della vita.

C'è tutto questo in <A star is born>, il filmone romantico e disperato che segna il doppio debutto (lui alla regia e lei nel cinema, con un personaggio che ha più di qualcosa di autobiografico) di Bradley Cooper e Lady Gaga: ma, a dire il vero, è anche un po' tutto qui. Nella chimica (sexy, empatica) che si innesca tra i due protagonisti (e allo stesso modo tra gli interpreti, chiamati a darsi reciprocamente fiducia), nelle canzoni (tante e alcune molto belle: le nostre preferite sono <Shallow>, <Always remember us this way> e <Maybe it's time>), nella love story da consumare e bruciare sulla via del successo.

Remake del remake del remake di un film che già di per sè si ispirava al mito di Pigmalione, il <nuovo> <A star is born> (l'originale è addirittura del '37, la versione più famosa è quella con Judy Garland del '54, la più recente e riconoscibile quella del '76 con Barbra Streisand) ha sicuramente i crismi del successo annunciato (e negli Usa qualcuno già parla di Oscar...),  ma al di là di un bell'approccio iniziale (più personale della seconda parte, meno riuscita) fatica onestamente a imporsi per scrittura, non riuscendo a fornire originalità a una rappresentazione in realtà piuttosto convenzionale.

Nella storia di un cantante alcolizzato che lancia nello showbiz una ragazza che non crede in se stessa, innamorandosene e facendone una star, destinata poi a osservare, nella sua irresistibile ascesa, il declino dell'altro, Cooper (convinto giustamente da Lady Gaga a cantare con la sua voce anche se l'ultima volta che si era esibito era ancora al college...) maneggia un soggetto iconico (una scelta rischiosa, ma anche <di difesa> in un certo senso), un melò senza tempo: ma in diversi passaggi il suo film appare frettoloso (nonostante i 135 minuti di durata), là dove il cuore della pellicola avrebbe dovuto invece essere più maledetto, più tossico, più vissuto. Oltre che più fondo. E così, alla fine, più che il Bradley Cooper regista è Lady Gaga attrice a lasciare il segno: è nata una stella. Ma non da oggi.

Read More