Il padre d'Italia, l'on the road dei fuori posto nella felicità contro natura
Rotolando verso Sud. Che ti sembra niente e invece è approdo, destinazione, crocevia di un improbabile e imprevedibile capirsi, là dove ritrovarsi così diversi eppure simili nello stesso smarrimento, fuori posto, fuori sincrono, fuori registro in un mondo che ti fa sentire inadeguato anche quando non lo sei. C'è la voglia di non accontentarsi, di provare a vivere un po' di più e per davvero (che poi è facile come imparare a nuotare: basta smettere di avere paura...) nel nuovo film di Fabio Mollo, <Il padre d'Italia>, incapace di omologarsi quanto i suoi protagonisti, due sopravvissuti che lo sanno che no <non va bene così> e si mettono a inseguire sogni che di solito nemmeno hai il coraggio di sognare.
Lui introverso, depresso e omosessuale; lei elettrica, scoppiata e molto incinta: si incontrano per caso, specchiandosi nelle reciproche solitudini, finendo, da Torino alla Calabria, per prendersi cura l'uno dell'altra.
Nel breve incontro tra due esclusi (come la Loren e Mastroianni di <Una giornata particolare>), due orfani (ognuno a modo suo), precari dell'esistenza consolati dallo stesso abbraccio, il trentaseienne autore calabrese (che continua a convincere dopo il gran bel debutto de <Il Sud è niente>) firma con <Il padre d'Italia> una riflessione non banale sulla genitorialità (e sull'omogenitorialità), sull'istinto paterno e materno di chi – in un'epoca abbandonata – fatica a essere padre e madre anche a se stesso. Un on the road interiore e sentimentale che stringe sui volti di disarmante sincerità di Luca Marinelli e Isabella Ragonese, la meglio gioventù a cui non puoi non voler bene. E che ti costringe a domandarti se a essere contro natura non sia forse, alla fine, solo l'infelicità.