I dieci film più belli di Martin Scorsese
L’ultimo film di Martin Scorsese, “The Irishman”, dopo avere fatto il tutto esaurito al Parma Film Festival, spopola ora su Netflix. Se mi è abbastanza chiaro - e non da oggi - che l’ex prete mancato che ha fatto la Storia del cinema è il più grande regista vivente, quali sono i suoi film che mi (e vi) piacciono di più? E’ un gioco impossibile, ma può essere divertente provarci: ha fatto talmente tanti capolavori che sono certo che la mia classifica potrebbe cambiare ogni giorno a seconda di come mi sveglio. Intanto prendetevi quella di oggi: questa.
TAXI DRIVER
You talkin’ to me? De Niro alla specchio, Jodie bambina, New York: difficile trovare a oltre 40 anni di distanza un film più politico (e profetico) di questo. Potentissimo e geniale nel raccontare lo spaccato disturbante di un’epoca.
TORO SCATENATO
Basterebbe la prima sequenza, quel ralenti, la musica, i flash dei fotografi: e poi De Niro/La Motta, rovinato di botte, che si aggrappa alle corde: “Non mi hai buttato giù, non mi hai buttato giù”. Modernissimo, anche visto adesso.
L’ETA’ DELL’INNOCENZA
Se volete fare incazzare Scorsese chiedetegli come mai nei suoi film non ci sono mai donne. E’ una roba che lo manda in bestia. E non a torto: anche perché in questo film viscontiano c’è uno dei più bei ritratti femminili mai visti. Pura classe.
QUEI BRAVI RAGAZZI
Il mafia movie, istruzioni per l’uso: una lezione di regia e di montaggio dalla prima sequenza all’ultima. Quando non contare più nulla significa che ti lanciano il giornale come a tutti gli altri. Parabola violenta di un’America a mano armata.
THE WOLF OF WALL STREET
“Vendimi questa penna”. Della follia dei tempi, quella dove contano solo i soldi, è l’epopea più spiazzante ma anche più fedele. Un film eccitante e sovraeccitato, dionisiaco, cinetico, divertente, bastardo, instancabile, aggressivo. Con scena stracult tra DiCaprio e la Robbie.
CASINO’
Una messa cantata: l’energia di Scorsese, il suo cinema-cinema ancora ai massimi livelli. Ancora i soldi: tanti. E la malavita. E di nuovo il tempo che, inseerobile, passa: e tutto cambia, tutto (come nell’epico finale) trasforma.
THE DEPARTED
Da alcuni malamente sottovalutato: molto e molto ingiustamente. Magari con la scusa che “l’originale (Infernal Affairs) era meglio”. Io ricordo la prima alla Festa del cinema di Roma: folgorante. Una meraviglia. Su sette nominiation alla regia, l’unico Oscar vinto da Scorsese.
FUORI ORARIO
Inimitabile e bizzarro: una delle prove più originali e inclassificabili del maestro del Queens. Che racconta il contemporaneo in un film “tutto in una notte”, regalandoci un personaggio il cui smarrimento finisce per appartenerci.
MEAN STREETS
In un certo senso è cominciato tutto da qui: i primi vagiti della Scorsese connection, la capacità di imporre un cinema nuovo, personale, proprio. Consiglio di rivederlo: ogni volta riserva sorprese. E scoperte.
THE IRISHMAN
Un film definitivo e inevitabile: Scorsese si fa carico del corso di un tempo che sta per finire in un film fluviale, epico e ricco di suggestioni. Già bellissimo dal primo piano sequenza, poi inesorabile e sinfonico. Col retrogusto amaro di un addio, del senso, solitario, di un commiato.
The sound of Silence: l'ultima tentazione di Scorsese
<E' stato nel silenzio che ho sentito la Tua voce>.
Mistero della fede: alla fine del mondo dove Cristo muore <per il miserabile e il corrotto> e solo il perdono ha ancora un senso, l'ultima tentazione del prete perduto: tradire se stesso per salvare gli altri. E' fatto di nebbia, fumo e martirio, il kolossal intimo, mistico e spirituale dell'ex seminarista Martin Scorsese che con <Silence> (un progetto che coltivava da ben 26 anni) gira un film che nell'ombra cerca, ostinatamente, la luce. Interrogandosi sul peso terribile del silenzio di Dio, apparentemente sordo alle nostre grida sull'ingrata madre terra dove il debole non ha posto e insegue una promessa di salvezza misurandosi con la tortura del dubbio.
Atto conclusivo della trilogia sulla fede (quella iniziata con <L'ultima tentazione di Cristo> e proseguita con <Kundun>), il film con cui il regista di <Taxi driver> e <Toro scatenato> festeggia mezzo secolo di cinema cerca risposte che nessuno può dare, tra sacrifici massimi e scelte umane troppo umane, immolandosi all'inimmaginabile sofferenza dell'imperscrutabile.
Anno domini 1633: due giovani gesuiti portoghesi (interpretati dallo Spider Man Andrew Garfield e da Adam Driver, sugli schermi anche con <Paterson>) partono, per cercare il loro mentore, alla volta del Giappone, dove il cristianesimo è messo al bando e i suoi seguaci uccisi in modo atroce se non rinnegano Dio...
Profondo, tormentato, sussurrato, affamato di verità (là dove non ci si può permettere alcuna certezza), <Silence> è il film in un certo senso apostata di un grande regista che, accantonato lo stile eccitato e caleidoscopio di <The wolf of Wall Street>, sposa un rigore solenne e riflessivo per cogliere - prima usando benissimo i grandi spazi, poi rinchiudendosi nella cella dell'anima – la profondità di una fede che è insieme condanna e liberazione, prevaricazione (nel modo in cui tenta di imporsi senza rispetto della cultura altrui) e supplizio (le persecuzioni di ieri che assomigliano a quelle di oggi), egoismo ed esempio, chiave per perdersi e ritrovarsi. E se è vero che lo Scorsese religioso non è quello che preferiamo, è indubbio che <Silence> (a cui il doppiaggio non rende giustizia) gronda di passione, crudeltà, potenza. Tortuoso e ambiguo e mai netto, mai facile: come la strada che porta alla croce. Non solo quella che ognuno ha in spalla: ma anche l'altra, simbolo di appartenenza e consolazione, che mani grandi e non più tremanti stringono fino a farne rifugio, riparo, scrigno, santuario.
Un Leone per Thelma, la regina di Scorsese
Avete presente i meravigliosi combattimenti sul ring di Toro scatenato? Molto del merito è suo. E gli omicidi che toglievano il respiro di Quei bravi ragazzi? Sempre lei. E il ritmo sincopato e adrenalinico di The wolf of Wall Street? Avete già capito. A me sembra una bellissima idea e mi fa piacere che l'abbia avuta la Mostra di Venezia: quest'anno il Leone è una Leonessa. Ma non una così a caso: un tecnico, una montatrice, una di quelle che sul set non ci va nemmeno. Pensateci: i premi alla carriera, come il Leone d'oro, di solito vanno nelle mani solo di grandi registi o attori di fama assoluta. Se proprio va bene - ma ti dive chiamare Cesare Zavattini - rare volte anche agli sceneggiatori. Ma una montatrice, in passerella, è difficile vederla. Questa volta però accadrà: perché la Biennale onora una delle più grandi del taglia e cuci cinematografico, Thelma Schoonmaker. Una signora di 74 anni che fa parte della Scorsese connection, la squadra di collaboratori fidatissimi da cui Martin non si separa mai. Ma Thelma è qualcosa di più: è l'alter ego di Scorsese, è la donna che detta i tempi del cinema moderno oltre che di uno dei più grandi registi di sempre. Si conoscono da una vita, sono amici da quando erano ragazzi: Thelma da Toro scatenato in avanti ha montato tutti i suoi film. Tutti, non uno sì e uno no. Lei, nata in Algeria e cresciuta ai Caraibi, sa cosa ci vuole: non credo che Scorsese, a questo punto, abbia nemmeno bisogno di spiegarglielo. Se i film di Scorsese sono così riconoscibili, potenti e pieni di energia, è anche perché passano dalle sue mani. Che a vederla così, adesso, sembra uscita dalla Signora in giallo: e invece è davvero una regina e non solo per i suoi tre, meritatissimi, Oscar. A proposito: quest'anno Thelma non l'hanno nemmeno candidata. Che bisogna essere ciechi se hai visto The wolf of Wall Street. Pazienza: si rifarà a venezia. Lei che anche fuori da quella cabina di montaggio ha avuto una vita da vivere: come quendo ha sposato Michael Powell, un genio vero, regista immenso e accantonato, che aveva 35 anni più di lei. Sia Scorsese che Powell il Leone d'oro alla carriera l'hanno vinto: ora è il suo turno. Il turno di Thelma mani di forbice.