Recensione, Festival, 2019 Filiberto Molossi Recensione, Festival, 2019 Filiberto Molossi

Il traditore: Bellocchio e il melodramma di Cosa Nostra

La mafia? Non esiste. Però c’è Cosa nostra: ed è un grande melodramma. Te ne accorgi quando Bellocchio spara il Va’ pensiero a tutto volume mentre il giudice del maxi processo scandisce le condanne e i nomi degli imputati scorrono in sovrimpressione. E’ una delle sequenze più potenti del film, tesissimo, spettacolare, bello veramente, che il regista piacentino ha dedicato al “pentito” Tommaso Buscetta, un uomo che aveva un sogno: morire nel suo letto. E’ grande cinema e lo si capisce sin da subito, dalla prima mezz’ora quasi scorsesiana (tra balli, feste e omicidi) e poi avanti, tra innesti onirici rischiosi ma che invece funzionano alle perfezione (quel funerale da vivo, ma anche Andreotti che esce in mutande dal negozio del sarto...), flashback rivelatori (di un’educazione criminale, soprattutto), insopportabili sensi di colpa degni della tragedia classica che ne fanno uno spaccato rigoroso e insieme mitologico della recente storia italiana. Come ne I pugni in tasca(l’esordio di 54 anni fa), come in tutto il suo cinema, è ancora la famiglia a finire alla sbarra: in questo caso quella “mafiosa” (ma non solo), comunque violata, sempre disfunzionale. Un film, “Il traditore”, dove Bellocchio, lucido e vitalissimo nei suoi (quasi) 80 anni, recupera la grande tradizione del cinema civile italiano e tra un Falcone (finto) e un Borsellino (vero), costruisce sul volto di un bravissimo Pierfrancesco Favino -a cui ora sarà complicato non dare un premio -, il ritratto di un italiano vero.

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I figli del fiume giallo: la Cina è lontana (da se stessa)

E’ il Paese che negli ultimi 15-20 anni è cambiato di più: e in modo più traumatico. Lasciando dietro di sé <morti e feriti>, e dubbi, e fratture, e crepe. Una rivoluzione solo apparentemente non violenta, quella cinese, che è alla base dell’intero cinema del grande Jia Zhangke, il maestro della sesta generazione, che con film come <Still life> (Leone d’oro a Venezia) e <A touch of sin> ha fatto esplodere le contraddizioni di una nazione che brucia tutto troppo in fretta.

Un tema centrale anche ne <I figli del fiume giallo> che il regista, disilluso cantore della contemporaneità, ha portato un anno fa in concorso a Cannes:  un film intenso dove la delusione e l’amarezza (non solo) sentimentale di una donna abbandonata dall’uomo a cui ha salvato la vita facendosi al suo posto 5 anni di prigione, va di pari passo con il suo disorientamento davanti a una Cina che, entrata in maniera rapidissima nella modernità, fatica ormai a riconoscere. Le miniere che chiudono e lasciano il posto alle centrali elettriche, la speculazione edilizia, gli iPhone che arrivano a mappare anche la più profonda campagna: girato molto bene, con punti di vista mai scontati, mai banali, <I figli del Fiume Giallo> inizia come un gangster movie e finisce come un melodramma, nel continuo prendersi e lasciarsi di un terzo millennio che ha mutato per sempre le regole del gioco. Quelle che Zhangke (suo anche  <Mountains may depart>, commovente capolavoro) dimostra di conoscere, tra un prologo in 4/3 e i Village People sparati a tutto volume, benissimo: lasciando che i fragili ma ostinati destini dei suoi protagonisti (lei è la sua musa Zhao Tao, bravissima) restino schiacciati tra le pieghe di un Paese in pieno mutamento economico e morale.

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Un affare di famiglia: la Palma d'oro della sensibilità

Che poi i legami, gli affetti, la riconoscenza mica la misuri col sangue, mica è una questione di geni, di nomi, di ereditarietà. Perché la famiglia, se vuoi, la scegli. E, a volte, sei scelto da lei.

Non c'è regista – e dico nel mondo - più sensibile e attento all'avventura, a volte rocambolesca, altre drammatica, dell'essere (o del semplice ritrovarsi) genitori e figli del giapponese Kore-eda che riporta ancora una volta la famiglia (mai così serena nella sua in realtà tragica disfunzionalità) al centro del suo cinema capace di grande introspezione, di imprevedibili e delicate complicità, di letture sempre scomode e stratificate. Qui addirittura il grande maestro alza l'asticella girando un film che si svela lentamente, un racconto moralmente complesso e coraggioso, in cui i più disinteressati esempi di affetto, di umanità e di appartenenza arrivano, paradossalmente, da personaggi che vivono nell'illegalità, nella menzogna, nel crimine. Un cortocircuito etico - in un Paese travolto non solo dalla crisi economica ma anche da quella dei valori-, là dove ciò che è giusto non ha un solo colore, ma mille, spesso incomprensibili, sfumature. La storia di una famiglia che accoglie in casa una bambina maltrattata: sono indigenti, vivono di piccoli furti e sanno che rischiano l'accusa di rapimento, ma non se la sentono di restituirla alla madre violenta...

Seduto su una montagna di segreti, di ambiguità, di nodi che via via si sciolgono, questo bellissimo film – Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes - nella rappresentazione di quella strana famiglia allargata di rifiutati, sopravvissuta a se stessa (e alle proprie cicatrici), tesse una ragnatela fittissima di rapporti e dinamiche che avvolgono temi cruciali (l'infanzia abusata, la povertà, la violenza, la comprensione...) di un mondo in cui nulla è come sembra, ma dove le maschere a volte sono paradossalmente più vere dei volti.

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2017, Protagonisti Filiberto Molossi 2017, Protagonisti Filiberto Molossi

Quel giorno a Sanremo: voleva fare l'attore l'uomo che cambiò la storia della canzone

Ci sono momenti che cambiano tutto: istanti che restano scolpiti nella memoria collettiva. L'urlo di Tardelli al mundial dell'82, il giorno che rapirono Moro, Pertini a Vermicino e quella diretta che non finiva mai. E poi quella sera del '58, sul palco di Sanremo: fino allora erano state solo canzonette. Poi in scena arrivò lui: "Penso che un sogno così non ritorni mai più". Era la pura verità: niente fu più uguale. Quando Modugno al Festival allarga le braccia la musica italiana cambia per sempre: è il segnale della svolta. Si comincia a Volare: felici di stare lassù.  Primo cantautore nella storia di Sanremo, con "Nel blu dipinto di blu" Modugno rivoluziona la sintassi della canzone italiana, rompe con regole e arrangiamenti della musica tradizionale e forte di un successo planetario (resta da allora l'unica canzone italiana capace di raggiungere il primo posto nella classifica Usa) riscrive il ritornello della Storia. Ha solo 30 anni anche se non sembra un ragazzo già da un po'. Quello che forse non tutti sanno è che l'uomo che cambiò per sempre la canzone italiana era partito per fare l'attore. Bella faccia e piglio deciso, Modugno che al paesello faceva teatro, una volta a Roma vince un concorso per attori dilettanti. E bussa al Centro sperimentale. Al provino tutti portano un pezzo famoso: chi Shakespeare, chi Pirandello. Chi, alla peggio, una poesia. Lui, davanti a Luigi Zampa (quello di "Anni difficili") e di tanti altri film, racconta invece una barzelletta, una storiella. Che neppure fa tanto ridere: ma lo vedi da lì, da come prende una sigaretta, dalla sua disinvoltura, che quel pugliese ancora senza baffi sarebbe diventato, in un modo o nell'altro, qualcuno. Di film Modugno, poi, ne ha fatti diversi, non solo musicarelli, ma non sarà ricordato per questo: ma soprattutto perquel giorno, quello in cuiallarga le braccia. Dove è insieme cantante e attore: e, immediatamente, riconoscibilmante, mito.

A proposito, il provino lo trovate a questo indirizzo: http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-ffc1832e-4bea-41a2-a2d8-8a600549cf7b.html

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Sul bus di Cannes: i nostri voti

A Cannes 2016 se ne è andata la prima metà di concorso: e mentre la gara si accende, noi diamo i voti  ai film in corsa per la Palma. 

 Sieranevada 7,5

Il film romeno racconta un intero Paese facendo muovere una ventina di personaggi tra cucina e sala da pranzo. L'aria "serena" dell'Est.

I, Daniel Blake  7

L'Inghilterra? Non è un paese per malati. Ne' per poveri e madri single. Prevedibile, ma resta il miglior film degli ultimi anni di Ken il rosso. 

Mademoiselle  7-

Amanti diabolici alla coreana: ok già visto, ma vuoi mettere la classe in cabina di regia? Formalmente molto riuscito. 

Personal shopper 4

Il pasticciaccio brutto di Assayas: sembra la brutta copia dell'ultimo Tornatore. Ma con effetti alla Ghostbusters. Fischi. 

Paterson 8 

L'ode alle piccole cose di un regista che conosce gli intimi segreti della poesia quotidiana. Tra trionfi e fallimenti minimi

Loving 7 

Un dramma interrazziale con un gran bel mood e nessuna ostentazione: il diritto (civile) di amare

Toni Erdmann 6 

 Il film caso o sorpresa del Festival: bizzarro outsider ha momenti irresistibili, ma è stato anche un po' sopravvalutato. 

Julieta  7-

L'odissea di una donna tra separazione e rimpianto: madri e figlie in un Almodovar dolente, Ulisse nella tempesta dei sentimenti.

Ma Loute 6 + 

Dumont diverte con il suo universo bizzarro e figurativamente affascinante: la storia è un pretesto, ma qui si può persino volare.

 American honey 6

Tra Larry Clark e Van Sant, i ragazzi perduti dell'America rurale: un on the road con 4/3, con almeno 45 minuti di troppo.

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