Spencer: la favola al contrario della principessa del popolo
In un luogo dove il futuro non esiste e il passato e il presente sono la stessa cosa, nella prigione dorata di una vita che ti costringe a recitare sempre lo stesso copione, la «favola tratta da una tragedia vera» del cileno Pablo Larrain: che dopo avere raccontato il dramma e la solitudine di Jackie Kennedy realizza ora con «Spencer» un bellissimo ritratto intimo, volutamente stridente, sofferto e malato, di Lady D (una strepitosa Kristen Stewart, perfetta nello studio della postura e delle espressioni: tanto da meritare ancje la nomination agli Oscar...), la principessa triste (e sperduta: «dove mi trovo?»), inquadrandone la tragedia interiore ma anche la forza rivoluzionaria e scomoda concentrandosi su un solo fine settimana: quello del Natale in cui Diana decise di divorziare da Carlo. E dalla corte d'Inghilterra.
Sempre molto oltre il biopic, Larrain, che ha splendide idee narrative (la regina che appare solo dopo 35 minuti e parla pochissimo, personificazione quasi metafisica della corona e del potere, ma anche la sequenza di Diana, travolta dai suoi disturbi alimentari, nella cella frigorifero...) e di regia, scomoda anche il fantasma di Anna Bolena per cogliere l'assurdità (come nel prologo, che già dice tutto, dove la cena della Vigilia viene consegnata in casse sigillate da un contingente dell'esercito in mimetica...) e il gelo di un'esistenza completamente pianificata da altri. Un mondo di maschere in cui non è difficile perdersi e da cui, per sopravvivere, si può solo fuggire.
Il rapporto coi figli, l'insofferenza all'etichetta, le umiliazioni del marito Carlo: mentre la musica classica si fonde col jazz (prima di lasciare campo libero al pop più liberatorio), l'autore racconta la favola al contrario di una principessa che scappa dal suo principe. Stanca delle battute che qualcun altro aveva deciso di scrivere per lei.