Nessuno si salva da solo: nemmeno Castellitto
Non so per certo (anche se un'idea ce l'ho) se èpiù in difetto lui, che è meglio come affabulat(t)ore che non come regista, o lei, che insiste a trasformare da sola (quando invece fare un mezzo passo indietro non le farebbe male) i suoi best seller in copioni: ma di certo la premiata ditta Castellitto/Mazzantini, (bella) coppia anche nella vita, cade sempre un po' lì, negli stessi difetti di sempre. C'è un che di ridondante nei loro film, un tono sempre sopra: troppe canzoni (da Leonard Cohen ad Amedeo Minghi, da Lucio Dalla a Tom Waits...), troppe scene madri, troppi movimenti ariosi. La tentazione (spesso fatale) di aggiungere, quando invece bisognerebbe togliere, asciugare, sottintendere, nascondere. Che racconti la fine di un amore e poi magari sul più bello arriva Vecchioni (sì, Roberto), che sembra uscito da <L'uomo dal fiore in bocca> di Pirandello... Peccato, perché di cose buone in questo scene da un matrimonio (finito) che è <Nessuno si salva da solo> ce ne sono: dalla grande alchimia degli interpreti (Scamarcio e la Trinca, premio Schiaretti a Parma 2013) alla fotografia di un fallimento che è sì quello di una coppia, ma forse anche di una generazione se non addirittura di un Paese. Complice la cena (lunga quanto il film) dei due protagonisti, Castellitto serve in tavola in salsa di flashback piatti pieni di rimpianti, accuse, rimorsi: quando i giorni felici sembrano più lontani e la passione ha lasciato il posto alle domeniche all'Ikea, i sorrisi alla cotoletta alla milanese. Lei ha un passato da anoressica, lui da tamarro con romanzo nel cassetto: è stato un grande amore, ma ora si contano lividi e ferite, <che la fortuna non cade dal cielo, la fortuna sceglie: e noi non siamo nella lista>. Ma nell'illusione dell'eternità del sentimento ci si può ancora togliere la voglia di voltarsi indietro.