Euforia: la Golino e il pezzo mancante del puzzle
Dopo l'esordio, convincente, con <Miele>, ancora un film sulla morte, che però è un film sulla vita: ha una complicità naturale, un'empatia senza artifici, la pazienza e la curiosità di chi nel puzzle lascia sempre un pezzo indietro, <Euforia>, il secondo film da regista di Valeria Golino. Che ha qualcosa di Ozpetek, ma anche una sensibilità propria fatta di vigliaccherie di tutti i giorni, di rinunce, di conti lasciati troppo tempo in sospeso. Un film che la Golino perde e ritrova, e a cui si abbandona con coraggio attraverso una scioltezza narrativa che esalta - complice anche la brillante e non scontata alchimia che si crea tra Scamarcio e Mastandrea - il rapporto tra i due protagonisti: Matteo, un uomo di successo, dinamico omosessuale col culto del corpo, e suo fratello Ettore, professore alla medie, insoddisfatto, incupito. E soprattutto ignaro che sta per morire. Anche perché Matteo non ha avuto il coraggio di dirgli la verità… C'è, in <Euforia>, la fragilità dell'essere famiglia, la voglia, il desiderio di (ri)scoprirsi: e un bel modo di raccontare, di sussurrare gli inciampi, le stanchezze, i risentimenti. Forma e sostanza di parole smozzicate dietro al finestrino di un treno in partenza, quando forse è già troppo tardi per tutto.